18 ottobre 2011

la perdita del "no" #15ott #15oct

Forse ai meno appassionati è sfuggito un elemento nodale del film L'alba del pianeta delle scimmie: mentre, infatti, nel franchising classico era vietato anche e solo pensarla, qui la parola NO diventa la prima parola proferita dalle scimmie, il primo simbolo convincente di un'intelligenza ormai raggiunta.
Se nei precedenti quattro episodi cinematografici, insomma, il NO era il simbolo del potere umano contro le scimmie, per mortificarle e sottometterle, in questa sorta di reboot, il NO diventa il simbolo della pietas scimmiesca: Cesare, il leader, dice NO ogni qualvolta si presenti ai suoi simili la possibilità di uccidere o causare dolore agli umani; quello stesso dolore da lui subito e osservato.
Magari è solo un espediente di sceneggiatura, magari una furbata provocatoria, non potremo saperlo mai. Quello che però resta è il ribaltamento di una condizione essenziale del rapporto tra entità intelligenti: porsi dei limiti, porre dei limiti.
La enorme differenza tra bestie-e-basta e bestie-intelligenti sta nel fatto che le prime sopravvivono, le seconde vivono: hanno, insomma, superato quel limite apparentemente insormontabile che gli animali subiscono per tutelare se stessi e il proprio futuro. Chi sopravvive ha poca possibilità di pensare, di ragionare, di fare arte, di comunicare, di imparare cose "inutili" (viene in mente l'incipit di Wilde, "tutta l'arte è perfettamente inutile"). Chi vive, quindi, può andare oltre le necessità, e regolare la propria vita anche attraverso la consapevolezza dell'esistenza, della coscienza di sé.
Per far sì, quindi, che le bestie-intelligenti possano superare questo apparente caos indeterministico è necessario un passaggio successivo: porre delle regole alla consistenza sociale, altrimenti si ritorna bestie. Non ci sta niente da fare: o strutturiamo le regole della nostra esistenza, o si ritorna indietro. E più è sofisticato e complesso il nostro esistere, e più dovranno essere complesse le regole.
Certo, con questa scusa è facile scadere nel dittatorismo e nell'imposizione. Sta ad ogni nucleo della società trovare il giusto equilibrio tra il limite necessario e quello inventato. Ma quando i due livelli si confondono, si contaminano, si rappresentano senza essere praticati, ecco che viene fuori la società italiana attuale.
In questo, Gesù propose la bellissima sentenza "il tuo sì, sia sì; il tuo no, no; il resto è del demonio". Forse la traduzione è sbagliata, perché per i greci antichi il "demonio" altri non era che la parte meno razionale dell'esistente. Però quello che resta è il significato immediato di questa frase, con tutti i suoi annessi.
Da noi manca il senso del NO nella sua forma più convincente, perché convincenti non sono gli attori della società. Dai politici di ogni segmento agli intellettuali, passando per i genitori e i tutori delle regole, è un continuo viavai di eccezioni, di distinguo, di giocare sulle parole.
Camus diceva che l'aspirazione di una rivoluzione è imporre comunque altre regole, altre visioni: dobbiamo, quindi, metterci d'accordo su cosa vogliamo rappresentare e come sappiamo rappresentarci. Se vogliamo ricalcare i (ne)fasti del passato, tanto vale attendere altre barricate e altri scontri; se vogliamo, invece, costruire un futuro migliore, dobbiamo anche saper riportare la parola NO dentro le nostre case e dentro la nostra società.
Altrimenti, perdiamo tutto.

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