14 gennaio 2006

dal Kenya con furore

Come sicuramente saprete, sono stato in Kenya, non nella villa di Briatore né tantomeno conoscevo alla lontana quella poveraccia che è stata uccisa. Intendiamoci: è più facile essere investiti da una Smart in via del Corso che essere aggrediti a Malindi. Ma questo i giornali non lo diranno mai. È anche vero, però, che se vai in giro alle due di notte, in uno dei posti più malfamati del mondo, vestito in maniera vistosa, con ammennicoli vari al collo, magari vociando… prima o poi ti fanno a pezzi. Oltretutto gli italiani non sono ben visti in Kenya, come invece si usa dire. Il motivo è semplice: allora i craxisti ne han fatte di cotte e di crude; oggi i kenioti continuiamo a sfruttarli fino al midollo; eppoi in fatto di turismo sessuale siamo i primi della lista.

Del resto i beach boys (non i cantanti… vengono chiamati così i bambini poveri di quelle parti) ti vengono incontro da ogni dove e ti propongono di tutto: dal portachiavi in mogano al safari sòla, passando per il loro corpicino… in più, nei resort gestiti da italiani, nessuno ti avverte cosa è intelligente fare e cosa no (al di là delle precauzioni di rito). Se dici che prenderai un taxi per andare di sera a Malindi o a Mombasa, tutt’al più ti chiedono le chiavi della stanza, ma nessuno si sogna di scoraggiarti o di darti delle linee guida. “Ci son tanti italiani”, ti vien detto, “è pericoloso né più né meno che a Roma”, ti vien sussurrato...

Diciamola tutta: sarà pure da coglioni fare certe vacanze, ma è anche vero che ai tour operator interessa ben poco la tua sorte, anche a quelli ritenuti seri. Per dirne una: vi siete mai chiesti perché tutti gli italiani che in questi anni son stati rapiti in Yemen erano con Avv*****...?

Ma adesso parliamo di cose divertenti. Se andate nel resort dove siamo stati io e Silvia, dovete essere accompagnati da qualcuno con cui avete molta confidenza, perché il primo dramma accade proprio in bagno: qualsiasi cosa espletiate… resta là. Non c’è verso di tirare l’acqua: lui vi guarda sorridente e non si schioda.

A noi è capitato pure un capovillaggio con psoriasi a passo di carica, forfora a sacchi, piedi con unghie ricurve. Un bel tipo, insomma, che amava lumare le pupe rifatte, mentre ignorava tutte le altre. Vi chiederete se fosse un postaccio. No! C’era pure la Sciarelli, quella di “Chi l’ha visto?”. Una giornalista, quindi. E da che mondo e mondo i giornalisti queste cose non le sbagliano.

La spiaggia fa paura, nel senso buono del termine. Il perché è semplice. L’Oceano Indiano (perché si chiami così anche in Africa è un mistero) ha delle maree spaventose. La barriera corallina dove eravamo noi era lunga 4 km: beh, quando c’era la bassa marea, per 4 km non c’era acqua! Quindi cammini per due ore in mezzo a granchi rincoglioniti, murene rattrappite dal caldo, stelle grosse come meloni e ricci di mare grossi come palle da calcio. Uno spettacolo notevole… al che ho pensato che avrei dovuto tirare l’acqua dello sciacquone solo quando c’era l’alta marea. Ma questo m’è venuto in mente adesso, peccato…

Vi chiederete: hai fatto il safari? Uh, eccome. Oltretutto ho avuto la fortuna di avere un’ottima guida. Ad altri è andata così: un gruppo si è perso nella savana, un altro ha forato tre volte, un altro ancora si è beccato una guida ubriaca che per poco non si schiantava contro un baobab.

Il problema vero son le strade. In confronto, quelle di Roma son rose e fiori. La profondità di una buca keniota varia dai trenta al settanta centimetri, la sua larghezza dai venti centimetri ai due/tre metri. Per fare 250 chilometri abbiamo impiegato quasi quattro ore. Non solo: spesso l’amico al volante andava contromano, fuori strada, ritornava indietro, entrava nei marciapiedi (oddio: parlar di marciapiedi è da filosofi)… roba normale, che lì fanno tutti. Il bello è che ogni tanto incontri camion ribaltati, corriere capovolte, pedoni spiaccicati (non li ho visti, ma fa scena). Le strade, insomma, è come se fossero un’idea, un abbozzo buttato là. L’autista ci ha detto che è colpa dei politici al governo, perché son degli incapaci. Io mi son sentito più sfortunato di lui, visto che da noi anche l’opposizione è piena di incapaci.

Entrati nella savana, diventate tutti più buoni. Il mondo è un’altra cosa, più bello, misterioso… e tu sei piccolo piccolo e di botto ti entra in testa… la musica di John Barry. Cazzo, il cinema colpisce ancora: “La mia Africa” mi ha tormentato per tutto il viaggio. Ma poi, in fondo, è bello vivere queste cose con un po’ di ingenuità cinematografica nelle viscere.

Ho visto il tramonto da una microvilletta in legno appesa su un albero, le cui pareti erano solo zanzariere. Ho visto zebre, giraffe, elefanti, bufali, macachi, facoceri… no, non sto descrivendo la Via del Corso del sabato pomeriggio, ma la savana di Tsavo Est!!!!!! Felini? Niente da fare. Abbiamo ascoltato il guaire dei leoni, abbiamo visto le loro orme, ma niente unghiette pericolose. Peccato… ma poco importa: è stata un’esperienza fantastica, con un tramonto da paura e canti tradizionali kenyoti attorno al fuoco (cui noi, e gli ottimi italiani con cui stavamo, abbiamo risposto con robbbbaccia irripetibile), il respiro della natura tutt’intorno e cose simili…

Abbiamo pure visitato il canonico villaggio Masai, che dalla puzza di letame che promanava non era certo scena per turisti. Certo: ci si chiede come mai vivano vicino alle strade (sempre che si possano definire “strade”). In realtà siamo noi europei che abbiamo costruito le strade accanto a loro, non il contrario. Silvia ha danzato insieme a un gruppo di giovani masai. Loro son alti due metri, Silvia un po’ meno… oltretutto fan salti alti così e atterrano sui talloni (!).

Qualche giorno dopo ci han proposto il safari blu: una sòla colossale. Veniam buttati in una barca piccola così, tipo quella che Doré disegnò con Caronte dentro. Venti persone appiccicate al caldo secco, con un mare egoista di bellezze e pieno di alghe. Veniamo catapultati sopra una lingua di sabbia che vien sopra ad ogni marea, insieme ad altre decine di queste orribili barchette. La chiamano Sardegna 2… pensa te cosa potrà essere la numero 3. Ci vien detto di tuffarci mentre loro corrono in lungo e in largo con questi barchettoni, disputandosi le tre-boe-tre su cui attraccare. Per ben tre volte abbiamo rischiato di essere speronati…

Noi ci siam rifiutati di subir oltre una simile pazzia. Hanno provato ad ammansirci col cibo fresco, servito senza posate e su piatti puliti letteralmente con sputo e fazzoletto per il naso! E dire che qualcuno di noi non voleva usare i loro snorkel per evitare chissà quali malattie! Alla fine, dopo aver sgranocchiato un’aragosta più piccola di un francobollo, ci siam guardati negli occhi e siamo scesi dalla barca per farcela a piedi fino al resort. E l’acqua? Semplice: c’era la bassa marea. Sembravamo tutti alla ricerca del Dottor Livingstone… e in un certo senso l’abbiam trovato.

E già: quando abbiamo fatto il safari terrestre, abbiam pranzato in un possedimento privato immerso nella savana. A cento metri da noi c’erano giraffe e zebre che pascolavano placidamente, incuranti della nostra presenza. Uno spettacolo unico! Mentre eravamo a pranzo, si avvicina una sorta di David Bowie sui 70 anni che, con un inglese da BBC, ci saluta e ci augura ogni bene. Un uomo di altri tempi che di botto aveva cancellato tutte quelle buche infinite e il water sempre pieno e le unghie del capo villaggio e chissà cos’altro.

Beh, prendetemi per un romantico, ma la mia vacanza è negli occhi di quell’uomo fuori dal tempo. Chissenefrega di tutto il resto, le cose brutte e quelle belle, il mio passato e il mio futuro. Io ho visto il Dottor Livingstone, ho visto l’Africa di Hugo Pratt e di Salgari, di Hemingway e di Robert Redford. Un’Africa tutta mia, che magari non esisterà mai… ma che ora rimpiango, qui, da questo computer, da questo piccolo palazzo, affogato in mezzo a mille altri palazzi di Roma.

Che dire? Appena tornato, in edicola c’era la Ballata del Mare Salato con Corto Maltese. Ho tutte le edizioni possibili ed immaginabili, ma alla fine ho comprato anche questa. A qualcuno dovrò pur raccontare la mia Africa, no?

tag: Viaggi, Africa

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