Amando George A. Romero fino alla morte (è il caso di dirlo), non potevo farmi sfuggire il suo (pen)ultimo capolavoro, Diary of the dead.
Uscito di nascosto poco tempo fa, e adesso in dvd, è una sorta di cronaca in presa diretta dell'invasione degli zombi. Dopo la Notte dei morti viventi, Zombi, il Giorno dei morti viventi e la Terra dei morti viventi, Romero sfida se stesso e capovolge la prospettiva.
Tutti i film precedenti, infatti, si basavano sull'assedio: noi "sani" dentro una casa (nel primo), un supermarket (nel secondo), una base militare (nel terzo), un intero quartiere presidiato (nel quarto); "loro", gli zombi, fuori. Ovunque e comunque. Non dormono, non si riposano, non hanno necessità fisiologiche, non si spaventano, non soffrono; impossibile anche e solo pensare a una qualsivoglia forma di guerra convenzionale (anche la meno convenzionale tra le meno convenzionali) per sconfiggerli.
Questo Diary cambia però prospettiva: non c'è un assedio, un'Iliade insomma; ma un Odissea, un viaggio fisico e allegorico dentro l'animo umano, dove l'angustia psicologica e fisica dell'esistenza degli zombi condiziona ogni comportamento, ogni parola, anche ogni momento psicologico. Questa volta, e di più delle altre, senza troppo splatter, senza troppi ammiccamenti.
Certo, Romero si autocita a passo di carica, insiste su alcuni suoi topos narrativi... ma l'angoscia muscolare degli altri suoi film viene qui sostituita da un terrore al femminile, più suadente, lento, avvolgente, dove spesso il nemico c'è ma non lo vedi, dove il rischio è cosa costante e da accettare, e dove il mondo non è più patria di nessuno, neanche dei peripatetici zombi.
È forse la prima volta in vita mia (come fan zombesco s'intende) che dopo aver spento il televisiore, ho subito acceso le due/tre luci del tragitto che mi avrebbe portato a letto. Perché all'inizio sembra il "solito" Romero; ma appena entra il roll dei titoli di coda, arrivano molte sensazioni, e nessuna collegabile agli zombi...
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