Un virus misterioso trasforma l’Umanità tutta in persone felici e omologate, che parlano con una sola voce… tranne pochissimi curiosamente immuni (la protagonista e una manciata di fortunati), che dovranno difendere o perlomeno proteggere il loro diritto ad essere anche tristi.
Uno schema già visto, insomma. L’unica novità è questo essere l’opposto di (quasi) tutte le ambientazioni analoghe, dove invece le persone diventavano anaffettive. Novità che può non essere un difetto, anzi. Ma non in questo caso.
Per prima cosa, nessun critico ha ricordato l’analogia col sottotesto di un capolavoro di Heinlein (cui Gilligan deve molto).
Ma quello che mi ha decisamente irritato sono le critiche tipo: “Plur1bus è identico all’Invasione degli ultracorpi, però…”, “intere sequenze di Plur1bus citano interi film/telefilm del passato, però…”, “il primo episodio di Plur1bus è lungo e noioso, però…”. Quei però sono un contentino verso il basso, una coordinata personale, ma non certo l’argomentazione di un critico preparato.
Non paghi, questi critici hanno considerato un unicum geniale la “novità” di un virus che agisce al contrario rispetto a quelli canonici.
Un minimo di pudore: non è una grande idea immaginare persone omologate alla felicità, che parlano con una sola voce!
È una trama che immaginiamo in molti ogni giorno, da quando ci sono dei social! Guarda caso, omologano, costringono a un solo linguaggio, obbligano alla felicità.
Pensa tu la genialità di Gilligan!
Proviamo allora con la forma.
Una protagonista monoespressiva, sceneggiatura con ammiccamenti e citazioni goffi, tempi narrativi più lenti di un Tarkovskij qualsiasi, fotografia ormai già vista persino nelle pubblicità del saccottino, dialoghi da “signora mia” in fila per pagare alla cassa… e intignano a dargli del genio!
Ma siamo impazziti?
Una parte acida e astiosa di me, da anni pensa che ormai i critici preferiscano non dedicarsi ai doveri del mestiere, visto che significherebbe studiare (aver studiato) e dimenticare sé stessi.
Studiare (e aver studiato) significa approfondire, approfondire genera dubbi, scricchiola le certezze, costringe a un continuo sacrificio del proprio ego.
E in questo mondo fatto solo di autoreferenze, è più soddisfacente essere al centro dell’attenzione piuttosto che spostarsi di lato per essere al servizio dell’arte.
Oltretutto, se tu, critico ignorante, pratichi ignoranza, inevitabilmente generi ignoranza: un’ignoranza che ti segue e ti alimenta perché ti vede simile e non come una minaccia, anche e soprattutto se usi l’ignoranza dello stesso pubblico come strumento di verità.
Poi, magari ho torto su tutta la linea: non importa. Quello che alla fine risulta anche al più distratto è stata l’omologazione dei critici.
Critici omologati che esaltano una serie televisiva che denuncia l’omologazione!
Quando ero duenne, nel Regno Unito uscì una serie (Il Prigioniero) che ebbe un legittimo successo, feroce, straordinario. Ma il protagonista si impose affinché non venisse prolungata all’infinito, negando la produzione di una seconda stagione. E aveva ragione da vendere, tanto che ancora oggi è considerata un gioiello senza tempo, sia estetico che tecnico.
Di Plur1bus è stata già ordinata una seconda stagione

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