Ovvio che quando vai a vedere un film dei fratelli Dardenne non devi certo aspettarti Topolino o Fracchia, perché i loro film tutto sono fuorché scontati o ricercatamente pedagogici. Anzi, addirittura non li chiamerei neanche "di denuncia" (o "sociali", "impegnati", come usano dire le nostre zecche): semplicemente rappresentano la realtà, senza tanti fronzoli e senza tanti sensi di colpa. Perché in questo ci riescono molto bene: i fratelli Dardenne, cioè, non mirano all'ipocrisia borghese facendole vedere i risultati della sua sporcizia (e quindi emendandola dai suoi stessi peccati), ma fanno vedere gli accadimenti del mondo che ci circonda, mondo tutt'altro che ai margini del "nostro", e senza usare tanti giochi di parole, senza neanche finte mire rivoluzionarie. Tant'è che alla fine il borghese medio si sente partecipe, quasi complice, del dolore cui assiste: ma non gli viene in mente, neanche nell'anticamera del cervello, che una sua qualsivoglia azione potrebbe evitare fatti come quelli narrati dai fratelli Dardenne.
I marxisti nudi e puri potrebbero pure risentirsi di queste mie affermazioni: ma allora mi chiedo perché mai li premino e li glorifichino così tanto, quando poi - e alla fine - il loro resta sempre un cinema marginale e poco praticato dal grande pubblico. Forse c'è qualcosa che non va nel loro cinema? Forse questa critica italiana così balorda e contraddittoria pensa sempre e solo a se stessa, e non sa rimediare alle proprie ipocrisie? Non lo so: quello che però mi ha colpito di più di questo film è che se deve essere considerato con un finale, almeno non è così devastante come i precedenti.
Non solo, finalmente i Dardenne evitano giochetti "dogmatici" di macchina, inquadrature gratuite, sequenze prevedibili (qualcuna ce n'è, ma poche), dialoghi fintoprofondi. Sembra quasi che i due fratelli abbiano deciso di concedersi un sorriso, in quest'immensa penombra che è la nostra vita, fatta di rari sprazzi di luce e di troppi fetori insistenti.
Certo, la ricerca di una famiglia, genitori che tradiscono la fiducia, perfetti e "banali" sconosciuti che si accollano il destino dei meno fortunati, musiche quasi inesistenti (qui giusto l'incipit orchestrale del Secondo Movimento del Concerto Imperatore di Beethoven, e poco più), fotografia ai limiti del liceale, scenografie urbane sin troppo squadrate... le canoniche cifre dei Dardenne ci sono tutte: però in questo film si è perso il dolore, senza però che al suo posto sia entrata la speranza. Da un film così "banale" ci si aspettava molto di meno: e, invece, qualcosa resta.
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