David Blue - Perché hai deciso di pubblicare il tuo romanzo anche su e-book?
Alessandro Loppi - Perché me l'ha consigliato mia moglie. Anzi, era tempo che insisteva, sbattendo però contro la mia riluttanza.
DB - E perché eri riluttante?
AL - Ho uno strano rapporto con la tecnologia: nonostante ne faccia parte, e nel mio piccolo stia contribuendo fattivamente alla sua esistenza, sono convinto che sia usata male e che ci stia portando in bruttissimi posti
DB - Pessimista o cosa?
AL - No, realista. Fare parte di questo sistema consente di capire molte cose; molte più di quanto non ne vengano dette/lette...
DB - Cosa ti aspetti da questa pubblicazione più immediata?
AL - Onestamente, poco o quasi nulla... nel senso che se il lettore si ferma alle prime pagine, rischia di trovarsi spaesato e di non voler andare oltre; e non credo che l'e-book modificherà quest'attitudine.
Io credo nel lettore curioso, ma in tutta sincerità non conosco per nulla il mondo del selfpublishing; quindi, non saprei neanche immaginare cosa diamine potrebbe accadere
DB - E se tu dovessi riassumere la trama?
AL - Ecco, qui - proprio qui - mi dimostro incapace di essere seducente. Di primo acchitto, potrei fare il piacione, dicendo che è una dedica a mia moglie...
... c'è chi l'ha definito un romanzo fantapoetico; mio scuocero si è sperticato in mille complimenti; un mio amico libraio l'ha etichettato come una vittoria contro la depressione...
DB - Quanto cinema c'è nel romanzo?
AL - Ah, tantissimo, anche non esistente... voglio dire che io immagino gli eventi come fossero riprese, inquadrature. Non riesco a farne a meno... anche quando parlo
DB - Eppure non sembra una sceneggiatura, né tantomeno credo sia fattibile in maniera così lineare com'è accaduto a cose tipo La strada di McCarthy
AL - Forse perché non so scrivere sceneggiature, e forse perché non c'ho pensato
DB - Eppure, la tua privacy sembra un pretesto
AL - Effettivamente, per me è facilissimo usare le mie esperienze per scrivere d'altro.
Infatti, le persone che non mi conoscono e l'hanno letto, hanno dato definizioni ancor più disparate, addirittura non credendo che certi riferimenti fossero personali
DB - Roma sembra una protagonista quasi nascosta
AL - È uno scenario straordinario, specie d'ottobre o a maggio: ha luci e sapori unici. Certo, i romani per primi sembrano volerla umiliare: è un'antica polemica su cui non voglio soffermarmi, perché poi nel romanzo riesco a risolverla in qualche modo
DB - Effettivamente, prima dell'arrivo dei pericolosi quelli là, Roma è sporca e trasandata; quando arrivano loro, diventa linda e vivibile... come mai?
AL - È un gioco al paradosso che mi diverto spesso a fare anche quando parlo di cose stupide
DB - Se tu dovessi indicare un punto di svolta nel romanzo, quale pensi che sia?
AL - Il finale... se il lettore lo legge bene, si rende conto che ho detto qualcosa di molto forte, proprio all'ultima riga.
Anzi, mi viene da pensare che io abbia scritto una sorta di premessa a un qualcosa che poi maturerà nell'immaginazione del lettore... o almeno lo spero
DB - Cosa rispondi a chi ti dice "è solo fantascienza"?
AL - Innanzitutto non lo è... altrimenti mia moglie non l'avrebbe neanche aperto (ride)
Generalmente, chi lo dice non ha mai letto la fantascienza e/o comunque la relega in uno scantinato che puzza di disprezzo.
Insomma, tra Heinlein e Saramago o tra Matheson e Camus c'è solo il buon scrivere, il concettualizzare a fondo: ma le idee, lo sfondo, i pretesti, sono identici
Anzi. Mentre Saramago e Camus dovevano rendere conto anche alla propria immagine, alla propria aura, Heinlein e Matheson puntavano dritti allo sviluppo dell'idea, fregandosene dei salotti americani.
Senza Matheson, metà della fiction degli ultimi 50 anni non sarebbe mai esistita. C'è Matheson anche in Mad Men o in 24 o nei Soprano...
DB - Quindi la tua è fantascienza?
AL - No, assolutamente no (ride)... è che non ho i tempi per saper prolungare alcuni stilemi fantascientifici (vedi che parlo difficile anche io?), ma soprattutto a me interessava arrivare al finale, in un modo ben preciso
DB - Vuoi dirmi che hai scritto prima il finale?
AL - Sì, ci ho pensato per due anni, ogni giorno e ogni ora: poi ho scritto quelle dodici righe in 30 secondi... come il pittore giapponese nelle lezioni di Calvino (ride)
DB - Poi hai costruito tutto il resto
AL - Sì. In quelle dodici righe c'era un ritmo ben preciso che mi ha convinto - quasi obbligato - a strutturare il romanzo in sette capitoli di sette pagine ognuna
DB - Però è leggermente più lungo, di poco
AL - Colpa del sistema de ilmiolibro che ha rimesso mani alla configurazione... meglio così: almeno ci faccio una bella figura, no?
DB - Tra qualche giorno mi racconti come mai hai indicato una sorta di colonna sonora e anche tutte quelle comparse che però... non compaiono mai?
AL - Alla prossima, dài
Nessun commento:
Posta un commento