C'è una curiosa costante nelle interpretazioni più riuscite di Rutger Hauer: l'assenza. No, non voglio fare il saputellone che spara ca@@ate a raffica; però penso a certi suoi titoli e ho trovato questa costante che mi ha colpito.
Ne "I falchi della notte" era un cinico terrorista, con un'assenza di umanità e di empatia che lo caratterizzano all'inverosimile. Anzi, sono convinto che se fosse stato girato da un regista meno caciarone, sarebbe stato un film dignitoso.
In "Osterman Weekend", l'assenza di fiducia tra tutti i protagonisti tiene in piedi un thriller decisamente pedante. Paradossalmente, il fatto che il regista fosse anche un raffinato autore, ha reso lenta e stanchevole l'intera vicenda .
"Ladyhawke" è un film dolcissimo e romantico al punto giusto. L'assenza di contatto tra i due amanti è una costante che si dipana solo alla fine, con un finale forse grossolano ma pur sempre zuccheroso. Andrebbe proiettato nelle scuole per dimostrare quanto sia possibile rendere palpabile la sensualità senza indugiare in tette e scopate.
In "The Hitcher" torna l'assenza di umanità, ma segnata anche da un'elegante empatia dissimulata, resa possibile dalla consueta gamma di non-espressioni di Hauer: poche smorfie ma tanta profondità. A pensarci bene, è un film di formazione; se la regia fosse stata autorale, sicuramente parleremmo di capolavoro di genere.
"La leggenda del santo bevitore" dimostra tutte le capacità espressive di Hauer. La regia è pesante - e lo è anche il sopravvalutato libro di Roth; però c'è qualcosa che resta nello spettatore, forse perché questa volta l'assenza è della stessa realtà, offuscata dall'etilismo decadente del personaggio principale ormai morente.
No, non ho dimenticato "Blade Runner", che cronologicamente andrebbe tra i primi due titoli citati.
È che dentro questo meraviglioso capolavoro ognuno di noi ha lasciato il cuore, l'anima, un'intimità difficile da rendere a parole.
Essere androidi come Batty, con la voce di Sandro Iovino, quel modo quasi erotico di Sean Young di accendersi la sigaretta (etereamente perfetta fino a quando Ford non le spettina orrendamente i capelli), le musiche eccellenti di un musicista generalmente ovvio (Vangelis), una fotografia che segna il cuore, odori e rumori e suoni e sensazioni... il perdurante dolore dell'assenza di anima negli androidi (ma anche negli uomini); dolore muto ma asfissinate che pervade ogni istante di un film che definire "perfetto" è dire poco.
La famosa scena della pioggia - improvvisata da Hauer poco prima delle riprese - porta con sé ogni destino, ogni respiro.
E adesso che Hauer se n'è andato, nell'anno in cui è ambientato il film, mi viene da pensare che il film sia vero, reale, palpabile. Ho quasi paura di andarlo a rivedere per l'ennesima volta.
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