14 settembre 2024

intorno a FEAR THE WALKING DEAD

Nella mia rassegna stampa settimanale, alla fine della pandemia segnalai uno studio pubblicato su Science Direct secondo cui i super-appassionati di horror, ucronie e distopie, sarebbero stati psicologicamente avvantaggiati nell’affrontare momenti così difficili, abituati come sono a leggere/vedere fiction su apocalissi da virus o da guerre distruttive.

Ebbene, se non siete tra questi, e temete una pandemia da Mpox (erroneamente chiamato “vaiolo delle scimmie”) o da un virus scaturito dall’Artico (come ipotizzato da Nature), ecco una serie che vi preparerà più che bene.

Il 21 aprile 2024, in Italia è stato trasmesso l’ultimo episodio dell’ottava e ultima stagione di Fear the Walking Dead, spin-off (e quasi-prequel) di Walking Dead (la serie televisiva sugli zombi, debitrice alla lontana anche dell’eruzione del vulcano Tambora, come sanno i lettori della rassegna).

Se Walking dimostra quanto possa essere miserabile il comportamento di ognuno di noi di fronte a una catastrofe senza ritorno, Fear insegue le persone “normali” sperando che si trasformino in eroi senza macchia. Walking è fiction, Fear punta al realismo.

A differenza della serie madre, che regge fino a metà della settima stagione (su undici), Fear diventa sempre più friabile già dopo la terza: tra sceneggiature altalenanti e cliffangher improvvisati, non mantiene le premesse delle stagioni iniziali. Soprattutto la prima, merita una visione senza preconcetti e paure: pochissimo splatter (e ben dissimulato); tempi narrativi lunghi, lunghissimi, assimilabili al tempo reale; dialoghi ridotti al minimo; protagonisti credibili; scarti narrativi quasi assenti; musica rara e rada, montaggio fluido e direzione della fotografia senza protagonismi.

Per i primi quattro episodi, non si vede nulla: l’angoscia è allusa, di sottofondo, cresce lentamente dentro una realtà quotidiana che ancora non sa e non ha capito cosa stia accadendo; lo spettatore spera sempre che tutto vada per il meglio, perché partecipa con la parte irrazionale di sé. Non fa presa il lento manifestarsi dei morti che camminano, ma la sorte dei vivi che repentinamente stanno perdendo la quotidianità, soprattutto quella degli automatismi; che poi è la parte più importante della nostra vita, perché ci protegge e dà un senso alle cose.

Al contrario dei film sullo stessa tema, costretti per motivi di spazio a riassumere in neanche dieci minuti la caduta verso l’abisso, Fear ha tutto il tempo per avvolgerci con grazia, tirare poi con calma l’elastico della tensione, e quindi BAM!, presentarci il conto delle nostre emozioni. Nella sua apparente lentezza, episodio dopo episodio sentiremo crescere dentro di noi un’angoscia personale, intima e privata, che val al di là di quattro mostriciattoli affamati della nostra carne. Una prima stagione terapeutica, insomma, che vale la pena di vedere tutta d’un fiato

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