esistono film che colpiscono al cuore perché è nella loro stessa essenza questa capacità di saper dire qualcosa, al di là del nostro giudizio, al di là del nostro inserirci dentro esperienze più o meno personali.
Esistono poi quei film che fanno appello allo spettatore in maniera più o meno aggressiva (dove spesso questa aggressività è elegantemente dissimulata), costringendolo a porsi delle domande assolute, spesso devastanti perché alla fine la risposta non c'è, perché non abbiamo neanche il coraggio di dircela nel più profondo del nostro inconscio.
Ricordo l'ottimo 28 settimane dopo, la scena iniziale, dove il nostro antieroe abbandona la moglie e un bimbo al fato di una morte sicura e orribile perché ne va della sua stessa sopravvivenza. E dire che in fondo era "solo" un film dell'orrore (che poi quant'è stancante e sciocco questo ghetto delle classificazioni tutt'altro che tecniche, ma invece molto salottiere).
Ebbene, ho visto The road, in una sala romana totalmente vuota nella suggestiva parentesi popolana della Trastevere migliore. Dire che è un gran film non è forse giusto, perché un film grande deve avere molte magie insieme e anche quelnonsoché di meccanismo perfetto e imperfetto al tempo stesso che ne caratterizzi il successo e la mitizzazione.
Oltretutto è un film che si autocostringe ad affidarsi a singoli episodi per riuscire a restituire allo spettatore inerte quell'indescrivibile sapore amarissimo del vivere dopo una distruzione così totale. E gli episodi si altalenano a cose possibili, eventi inverosimili, e situazioni limite che hanno decisamente bisogno della voce fuori campo per essere cuciti a dovere.
Ma è un grande, grandissimo film quando ti pone di fronte alle domande assolute. Noi che ci conosciamo tramite solo cordiali e affettuose mail, come ci saremmo comportati l'un contro l'altro nella scena - per esempio - del nero che ruba tutto mentre il bimbo dorme? Io ti avrei minacciato pur di difendere la mia donna, e tu avresti fatto la stessa cosa: e magari con un cinismo e una cattiveria di cui noi stessi ci saremmo sorpresi. O sbaglio?
Dire "siamo arrivati a tanto" forse non è nemmeno intelligente, come del resto non è stato onesto ritardarne l'uscita perché dalla "trama triste". In fondo noi dobbiamo convivere con questo lato del nostro spirito, un lato così selvaggio e doloroso che ci ricorda sempre - e ci dovrebbe sempre ricordare - che è un gran pregio essere quello che siamo fuori dall'oscurità, che però ogni tanto dobbiamo visitare i meandri della nostra ferocia per saper apprezzare meglio questa nostra modernità e questa nostra umanità.
Paradossalmente il personaggio di Viggo Mortensen - un "papà" straordinario - riesce comunque a mantenersi umano - nonostante certi gesti efferati e gratuiti, a credere in una profonda religiosità laica (e io, lo sai, sono ateo) che va al di là di tutto, che sa sopravvivere al cannibalismo fisico e concettuale, che sa vedere oltre la miseria più miserabile, per costruire una speranza fatta di conquiste e non di sciatto attendismo.
Mi ha colpito The road perché mi son trovato di fronte alle mie reazioni, al mio "what if", ma soprattutto mi ha disarmato perché immaginando una situazione simile mi son sempre sentito un eroe alla Charlton Eston di Occhi bianchi; mentre invece la realtà è di ben altra consistenza e The road l'ha saputa far immaginare.
E poi i suoni sui titoli di coda: ne vogliamo parlare? Sono la concessione di un finalino buono e imbelle, o il leggero frusciare di una pellicola proiettata chissà dove che ricorda un passato ormai devastato?
Un saluto,
Alessandro
Dire "siamo arrivati a tanto" forse non è nemmeno intelligente, come del resto non è stato onesto ritardarne l'uscita perché dalla "trama triste". In fondo noi dobbiamo convivere con questo lato del nostro spirito, un lato così selvaggio e doloroso che ci ricorda sempre - e ci dovrebbe sempre ricordare - che è un gran pregio essere quello che siamo fuori dall'oscurità, che però ogni tanto dobbiamo visitare i meandri della nostra ferocia per saper apprezzare meglio questa nostra modernità e questa nostra umanità.
Paradossalmente il personaggio di Viggo Mortensen - un "papà" straordinario - riesce comunque a mantenersi umano - nonostante certi gesti efferati e gratuiti, a credere in una profonda religiosità laica (e io, lo sai, sono ateo) che va al di là di tutto, che sa sopravvivere al cannibalismo fisico e concettuale, che sa vedere oltre la miseria più miserabile, per costruire una speranza fatta di conquiste e non di sciatto attendismo.
Mi ha colpito The road perché mi son trovato di fronte alle mie reazioni, al mio "what if", ma soprattutto mi ha disarmato perché immaginando una situazione simile mi son sempre sentito un eroe alla Charlton Eston di Occhi bianchi; mentre invece la realtà è di ben altra consistenza e The road l'ha saputa far immaginare.
E poi i suoni sui titoli di coda: ne vogliamo parlare? Sono la concessione di un finalino buono e imbelle, o il leggero frusciare di una pellicola proiettata chissà dove che ricorda un passato ormai devastato?
Un saluto,
Alessandro
1 commento:
hai fatto una recensione migliore di quella del fatto quotidiano ti meriti una lode, io mi sono trovato nella tua stessa situazione cinema vuoto e senso di spaesamento con perdita di appigli il film è riuscito bene, sono daccordo con te la domanda che incombe spesso è cosa farei io in quella situazione ? Forse la cosa peggiore è che poi in fin dei conti abbiamo bisogno di film del genere per renderci conto che nonostante tutto stiamo bene e che la nostra parte buia è in noi nonostante questo, forse dobbiamo vivere di più a contatto con la realtà dei nostri bisogni e non dei desideri che ci fanno deviare l'attenzione dalle cose della vita più semplici e quindi importanti
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