21 settembre 2010

il filo del mio catetere

Appena uscito dalla sala operatoria ho proferito la fatidica frase che farebbe tanto commuovere le lettrici di Novella 2000: "dite a mia moglie che sto bene"; l'anestesista mi guarda di sguincio e mi chiede come contattarla, e io snocciolo nitidamente il suo numero di cellulare con tanto di prefisso europeo. Insomma, ne ero uscito alla grande, perlomeno nella fase immediatamente postoperatoria, quella notoriamente cruciale.
Fatto sta che avevo un freddo pancifero da urlo, come tutte le volte che si esce da un'operazione, qualsiasi essa sia.
Arrivo nella mia sontuosa camera, vengo fatto accomodare nel mio letto e mi accorgo del problema: mi hanno messo un catetere. Quisquilie, direte voi. E invece no: ho una vescica piccola, e soffro di cistiti da abuso di cortisone; è facilissimo infiammarmi il pipo e tutto ciò che ne fa parte. Lo segnalo immediatamente all'infermiere, che - con imprevista professionalità - fa accorrere addirittura il chirurgo che mi ha operato. Niente da fare: la natura dell'operazione e del tipo di anestesia lo obbligano a farmi tenere ben fisso il catetere, per almeno otto ore. E vabbé: vorrà dire che starò tirato come un calzino secco per una giornata. Poco male.
Però ho freddo. Chiedo ad una infermiera una coperta, pregandola però di porgermela, perché mi hanno messo la flebo a casaccio, e se poco poco mi ci butta la coperta sopra succede un pandemonio (vi dirò cosa sono riusciti a combinare ad un altro malato). Niente da fare: vuole fare la cretina - davanti a mia madre e alla migliore amica di mia moglie - e si atteggia a Madame Curie del bidet.
Parla e gesticola, parla e gesticola, parla e gesticola, parla e gesticola, parla e gesticola, parla e gesticola, parla e gesticola... e inciampa sul mio catetere.

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