Quando mia moglie mi disse che era risoluta a regalarmi un viaggio biciclettoso in quel di Cuba, restai leggermente disorientato. Non per il generosissimo gesto in sé - ovviamente, ma perché come diceva Rilke “la nostalgia spesso non distingue”, e rincorrere suggestioni che magari poi non esistono (o non sono esattamente come dici tu) può essere terribilmente doloroso.
E poi, per restare nel banale, quando si viaggia ognuno ha una propria visione delle cose che assapora (sempre che sia capace di assaporarle), e quando racconta agli altri le proprie sensazioni va sempre fuori dalle aspettative - le proprie, quelle degli altri…
Nel caso specifico, c’è un’immagine che abbiamo che non corrisponde ad alcuna idea del cubano: è l’immagine del “vogliamo che sia così”. E inevitabilmente anche quando provavo a scattare anche la più oggettiva delle foto, ecco lì che cerco proprio quel “vogliamo che sia così”.
Cuba è una dittatura. Punto e basta.
Ma io non l’ho vista! Oppure non l’ho voluta percepire?
Però questa è una dittatura, in cui se non la pensi come dovresti - come un “ Fidel vuole che sia così” - finisci male.
C’è una sorta di povertà dichiarata che noi percepiamo come assenza di qualcosa. Invece per “loro” è la presenza dell’entità cubana, dell’essere per dover essere cubano. Quindi socialista. Quindi giusta.
Ho avuto la malsana impressione che quando finirà tutto - perché a Cuba prima o poi finirà tutto, restarà comunque questo afflato di essenza cubana, quindi socialista. Poi magari il capitalismo vincerà, ma il sapore del socialismo resisterà nel languore di certi gesti.
E comunque a volte soffrivo a fotografarli, perché non ero in uno zoo. E spesso cercavo manifestazioni di un’originalità estranea a quella mia, che in fondo somigliasse più a uno zoo, che a una realtà sociale come un’altra.
Però è stato bellissimo. Ineguagliabilmente bellissimo.
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