Lo confesso: a me The Millionaire ha detto ben poco. Tranne che per la sceneggiatura, appunto.
Se ieri abbiamo visto una scrittura circolare che torna al punto di partenza sempre con variazioni e dettagli via via più nitidi, qui hanno perseguito lo stesso schema, ma a spirale, per poi procedere fino a un finale prevedibile e risolutorio. A latere: la cosa più divertente dell’intera opera sono le danze proposte durante i titoli di coda.
In apertura già sappiamo che il nostro eroe sta vincendo tanti dindi. E il tutto si apre con una tortura di un poliziotto squadernato che vuole far dire al ragazzo che sta barando. Invece no, è un ragazzo perbene. Per motivare questa bontade d’ora in poi ci verrà proposta la biografia del giovane, e in parallelo le varie sedute di Chi vuol essere milionario (fa impressione constatare come i jingle della trasmissione indiana siano identici a quelle che vediamo sotto l’italico capoccione dell’ex parlamentare socialista Jerry Scotti).
Com’ha fatto ad indovinare la prima risposta? Flashback e riferimento a un’esperienza personale da fanciullo. Esperienza che guarda caso gli si è impressa in maniera indelebile.
Com’ha fatto ad indovinare la seconda risposta? Ariflashback e riferimento a un’esperienza personale successiva.
E via fino alla penultima domanda.
Per farla breve: il tempo presente sono le sedute televisive del quiz; il tempo passato è la sua biografia che scorre in avanti e a campate. E ogni campata, eterogenea e avulsa da quella precedente, corrisponde esattamente alla domanda posta in sequenza. Eccezionale.
Si passa insomma al nome di un famoso attore di Bollywood all’effigie che caratterizza una cartamoneta americana, dall’inventore della pistola ai record di un giocatore di cricket. Cose lontane l’una dall’altra, ma - ribadisco - coerenti invece con i vari momenti della vita di questo vincitore.
La spirale diventa invece un cerchio conclusivo (e arricchito da tutto quanto abbiamo vissuto) quando noi sappiamo che il nostro eroe non può sapere l’ultima risposta…
Ma poi tutto è bene quel che finisce bene.
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