Una domenica di qualche lustro fa - il 6 marzo 1983 - ero incollato alla radio: la Roma e la Juventus si stavano scontrando per lo scudetto, e purtroppo lo avrebbe poi vinto la prima.
Ma quella partita ebbe esiti ben diversi, e sembrava il preludio per una straordinaria rimonta juventina. Fino a dieci minuti dalla fine, La Roma era in vantaggio per un gol segnato al 62' dal magistrale Falcão (un grande anche lui).
Raramente alla radio gli speaker si interrompevano tra loro per cose futili, al di fuori cioè di una segnatura, un rigore o un fatto veramente eclatante. E ogni volta che da Roma Ameri interrompeva Ciotti, mi ritrovavo il cuore in gola, pronto a subire l'onta di un vantaggio giallorosso o la gioa per un gol di quella grandissima Juve che purtroppo non esiste più.
All'83' Ameri interrompe Ciotti per... una punizione: Michel Platini sta per battere una delle sue punizioni. Capite? Stravolge una scaletta radiofonica solo per raccontare in diretta una punizione, i cui esiti non sarebbero stati per forza positivi.
Le Roi tira e segna, con un'eleganza e una precisione che ricordo ancora oggi. Pochi minuti dopo segnerà Brio (poi morso da un cane poliziotto a fine partita), grazie a una generosa punizione data a Gentile (il suo conseguente litigio con Conti minò la loro amicizia).
Vincemmo 2 a 1, e io scontai gli ennesimi insulti a scuola. Un romano juventino è quasi un vezzo, specie se - come me - vive a Testaccio, il cuore della Roma e di Roma.
Oggi c'è uno Juventus - Roma distante anni luce dalla bellezza di quegli anni. Questo calcio non mi diverte più, non mi piace, e lo seguo con distrazione solo per fare lo scemo cor macellaro o co' er librarolo.
A questa "classica" del calcio moderno vorrei dedicare questa antica intervista a Michel Platini: fu scritta il giorno che si ritirò dalle scene. Troppo presto per un campione, troppo tardi per un re.
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