All'opposto di quanto recita il noto adagio, tornare "è un po' morire", specie se l'egocentrismo europeo-bianco-inevitabilmentecristiano-occidentale è stato messo in serio bilico.
Sono stato in Marocco, per pochi giorni; ma bruciati con fervida devozione per quell'antico concetto di "viaggio" che ci dovrebbe obbligare a toglierci le nostre vesti e a tuffarci dentro l'"altro" in tutte le sue condizioni possibili ed immaginabili. Certo, senza isterismo tardo borghesi, per cui l'"altro" diventa invece e comunque vittima delle nostre malefatte - l'"altro" non ha mai torti o difetti, e stupidaggini simili. Faccio un esempio con una sciocchezza simbolica: una delle guide che abbiamo catturato durante il nostro pellegrinaggio per le insolite vie di Marrakech, era persona dotta, colta, laureata, di buona famiglia... ma non indugiava nello scaccolarsi apertamente, davanti a una signora poi.
E quindi piantiamola con i luoghi comuni, o - peggio ancora - che il viaggio letterario e quello vero coincidano, così come anche il ritenerci al centro di un'analisi socioantropologica che certo le nostre scelte da turista non possono intraprendere, per propria insita natura.
Quel che voglio dire è che in fondo il viaggiare contemporaneo significa o chiudersi dentro la propria stanza e far finta di guardare con noncurante pigrizia quello che accade, dalla finestra del proprio comodo albergo mentale ricco di preconcetti prefabbricati che ci danno tanta sicurezza, sperando che il caffè e gli spaghetti siano sempre uguali a come li fa mammà. Oppure si può viaggiare ponendosi di fronte alla porta della nostra stanza, tentando disperatamente di aprirla, oppure - e almeno - cercare di catturare odori e visioni dallo spioncino della nostra curiosità, confidando che prima o poi qualcosa di autentico si staglierà davanti al nostro orizzonte così informale.
Certo è che il mondo magrebino, il mondo islamico, il mondo nordafericano, sono entità così diverse dalla nostra, che a volte ci si sente fuori posto pur tentando di esplorarle, di sfiorarle. Ma non nel senso negativo o positivo del termine: semplicemente mi capitava di vedermi dal di fuori, e di dirmi "hey, ma qui ci sono io, in questo preciso momento". Un viaggio nel tempo e nello spazio, dove la ruralità e la tecnologia all'ultimo grido convivono con tale semplicità da sembrare quasi una pubblicità indovinata. Dove trovi un venditore di tappeti che sa parlarti della realtà sociale del proprio paese, ma che ha paura di rispondere a una domanda sul Sahara conteso. Dove trovi bambini svegli e intrigati dal tuo passaggio. Dove in fondo sei e sarai sempre un estraneo, e non avendo le possibilità che ebbe Burton, non potrai mai andare dentro quei suoni gutturali.
E quindi, alla fine, il viaggio lo fai dentro la tua capocciona, e fa male, e fa bene, e ti ha dato tanto... e chissenefrega del posto dove torni...
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