Come ateo non militante (anche perché la “militanza” sarebbe una contraddizione in termini), provo una profonda pena per questo papa, perlomeno per la figura che sta uscendo dalle interviste e dalle inchieste portate avanti da Repubblica.
Non ho una grande simpatia per questo papa, né tantomeno per il precedente (di cui brutalmente si potrebbe dire che Ratzinger fosse il suo braccio ortodosso, quasi “armato” direi): però vedere che in Vaticano regnano quelle stesse piccinerie umane, quella brama di potere così prepotente, questa lontananza dalla freschezza del Vangelo e della figura di Gesù, mi fa sorridere amaramente. Mi passa la voglia di dire “l’avevo detto io”.
A me piacerebbe “sfidare” la Chiesa Cattolica in ambiti più consoni: della filosofia, della morale, dell’ingerenza continua nelle nostre umane quotidianità.
Non è divertente né rassicurante assistere, invece, a queste contraddizioni terrene e poco edificanti: ci restituisce un’idea di Chiesa in crisi di identità da più tempo di quanto non appaia, di mancanza di forza e di strategia, di disattenzione totale per il ruolo di guida spirituale che inevitabilmente ha o dovrebbe avere.
Non vorrei incorrere nell’errore sciocco e banale che in fondo è questa la vera Chiesa che un ateo si aspetta e che biasima, che brandisce una croce che non le appartiene e che strumentalizza da sin troppo tempo con i risultati che vediamo e subiamo.
Però è uno sbraco così imbarazzante, che alla fine mi viene voglia di pregare per questo uomo così solo e ridicolizzato. Non so come si prega, è ovvio, né tantomeno ne riconosco l’utilità interiore: però, e alla fine, mi sembra l’unica soluzione praticabile.
Davvero ci siamo ridotti a questo?
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