i condor e i defunti
Martedì scorso è morto G., 91 anni ben portati, da 34 compagno di mia madre.
Tralascio
la premessa che se fossimo stati un paese civile, forse non avrebbe
sofferto come ha sofferto questi ultimi otto mesi. Vi racconto
cosa è accaduto dopo.
Il
tempo di salutarlo, che subito si è presentato un addetto delle pompe
funebri, pronto a mischiare sapientemente cordoglio e burocrazia.
Abbiamo proposto ogni
possibile semplificazione del cerimoniale, se non altro perché
facilitati dal noto ateismo del defunto, mai praticato come la Hack (per
dire), ma sempre ben presente nelle sue scelte, e che abbiamo fatto ben
presente al tipo, più e più volte.
Nel
far passare le fatidiche 24 ore, abbiamo vegliato la sua salma quel
poco che bastava per accogliere parenti e amici rimasti.
Però non gli
avevano chiusto bene la bocca e gli occhi, e dal basso stavano già
fuoriuscendo cose su cui è meglio sorvolare. Solo l'affettuoso
intervento di mio cognato, ha consentito a mia madre di non subire
un'umiliazione visiva così dolorosa.
Appena
arrivati a Prima Porta, un tipo sciatto e trasandato ci è venuto
incontro per altre faccende burocratiche. Intorno all'ufficio, il caos:
altri addetti a vociare e fumare, macchine che correvano nello spazio di
un fazzoletto e cose simili.
Arrivati,
infine, all'area preposta alla cremazione, due tipi con barba incolta,
pantaloncini e maglietta stazzonata ci hanno accolti al limitare di
un'area dall'aspetto a dir poco imbarazzante: da un lato, un mucchio
caotico di fiori abbandonati provenienti dalle bare già consegnate;
dall'altra, un cancello per soli addetti ai lavori che sembrava più l'entrata di
un garage condominiale di periferia che un luogo in cui presumibilmente
termina il viaggio dei morti e inizia il dolore totale dei vivi.
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