Sarò vecchio, antitaliano forse, ma io i saggi all'italiana proprio non li capisco. O meglio: non capisco la necessità di quello stile tutto italiano di parlare di sé attraverso un argomento altro. In sintesi: autore bello, se vuoi farti un pippone, dillo chiaramente e finiamola lì; ma non ti ammantare di chissà quale seriosa veste, eccheppalle!
L'altra attitudine tipicamente italica è l'inseguire significati presunti e trasformarli in veri e autentici. Quindi, e alla fine, è il critico che stabilisce cosa voleva dire tizio, senza pensare minimamente che tizio magari quella cosa lì non la voleva dire, oppure non la pensava, o ancor meglio ha chiaramente detto l'esatto l'opposto.
Nei testi anglosassoni e/o francesi mi càpita spesso di restare colpito dall'argomento trattato, e non dallo stile e/o dalle pretese del critico; il critico, insomma, è al servizio dell'argomento (e del lettore). Punto.
Nei saggi italiani, invece, tale è la fatica che impiego per scindere le pippe del critico con l'argomento trattato, che dopo un po' abbandono tutto.
Ricordo ancora un libro del compianto Aristarco in cui un capitolo iniziava con "Mi si chiede", con sopra il numero di una nota. Al di là del fatto che veniva spontaneo rispondere "esticavoli di quello che ti si chiede", lo studente che era in me si avventurava in quella nota, che durava... otto-pagine-otto, fitte fitte, in corpo 8!
Dopodiché, se provavi a riprendere quel capitolo, incominciavi di nuovo con quel "Mi si chiede", avendo però già dimenticato i contenuti di quella nota. C'ho passato una settimana dietro quel cavolo di capitolo, una settimana!
In questi giorni, mi sono avventurato in un (pessimo) saggio che dovrebbe parlare di uno dei miei complessi musicali preferiti, e sono incappato nello stesso verbosismo: l'autore parla di sé, delle proprie presunzioni, andando persino contro cose note (e verificabili), dimenticando per strada materiale prezioso, stravolgendo significanti e significati, citando a man bassa qualsiasi cosa soddisfi i suoi preconcetti (manca solo Adorno, e ci siamo!).
Non dico il titolo del testo non tanto per pudore, ma perché è un vizio così collaudato che potreste sostituirlo con quello che avete sul vostro comodino. E la cosa che vi fa più incazzare, lo so (perché ci sono caduto anch'io), è che se siete giovani, prima di farvi un vostro spirito critico, vi adeguate a quel pipponismo, usando termini inutili (come il Weltanschauung del titolo di questo post), e analoghe perifrasi deliranti.
Quando presentai 15 anni fa la mia tesi di laurea, cercai di andare contro questo meccanismo così paludoso, ma mi dissero che non si poteva. Allora mi adeguai, patendo fecalomi psicologici duri ad uscire.
Un anno dopo, forte del successo della tesi, mi dissi che avrei potuto fare di testa mia, proponendo la versione deitalianizzata alle case editrici che ritenevo più coraggiose. Macché: minimum fax mi tacciò di saggismo; all'opposto, Lindau di poca serietà (insomma, decidetevi).
O avevo dimenticato di scrivere Weltanschauung, oppure c'erano poche pippe nel mio testo (anzi, per nulla).
Anzi, a pensarci bene, neanche dovevo scrivere 'sto post...
1 commento:
Cocordo in pieno.
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