Quello di Simon Critchley è un libro bello, a tratti commovente, sicuramente stimolante, ogni tanto anche istruttivo.
Appartiene a quel filone di libri densi-ma-comprensibili che solo gli anglosassoni sanno scrivere con invidiabile disinvoltura; addirittura riesce a coniugare la prospettiva personale con quella del dotto e acuto filosofo che sa leggere e interpretare ben oltre le solite canoniche visioni crociane che tanto ammorbano invece i saggi nostrani.
Oltretutto, e qui sta il vero punto, l'autore ammette platealmente di forzare la mano, di entrare nell'opera omnia di David Bowie con fare fazioso e filtrato dalle proprie passioni.
Utilizza cioè la premessa di una "personalissima opinione", assumendosene la responsabilità. Se ci pensate bene, quando noi italici diciamo "personalissima opinione", ci releghiamo in un ipotetico angolo, quasi come se l'avere un'opinione personale sia un reato da ammettere preventivamente. È un comportamento che mi sfugge e che addirittura mi irrita.
E la cosa ancora più seccante è che quando scriviamo saggi assimilabili a quello di Critchley, anziché avere l'onestà intellettuale di premettere tale attitudine - ma con fierezza, diamine - ci sproloquiamo addosso con frasone ad effetto, magari con la protervia dello "spiegare bene" perché tanto gli altri non ne hanno la capacità naturale di spiegarselo da soli.
Abbiamo, cioè, la strana visione distorta che la nostra documentazione (spesso facile e affrettata, peraltro) sia l'unica e incontrovertibile, anche quando i fatti ci darebbero torto. È capitato recentemente a Donato Zoppo quando ha scritto il suo pessimo saggio sui testi dei King Crimson, càpita nel giornalismo nostrano quando ilPost o Wired salgono in cattedra deformando la realtà in base a un preconcetto di comodo di partenza.
Il tutto è un miscuglio di faziosismi non ammessi, di ricerche di parte, di letture forzate, di pervicace uccisione della realtà reale.
Quand'ho letto Critchley, non mi sono sentito un cretino trattato da cretino: mi sono sentito a casa, in salotto, con del buon Laphroaig nel bicchiere, in compagnia di un amico che mi ha accompagnato dentro la sua vita e dentro la musica di David Bowie, e dentro la sua vita accompagnata dalla musica di David Bowie, ma anche dentro la musica di David Bowie come stimolo per viaggiare dentro il mondo e la mente di David Bowie stesso.
E mentre leggevo, scoprivo cose in comune con questo amico immaginario, ma soprattutto mi riempivo di dubbi, di incertezze sia musicali che personali, con una irrefrenabile voglia di riascoltare certi brani, di rileggere certe parti del libro, di andare oltre cioè la dottrina tipicamente propedeutica e rigida del saggismo all'italiana.
E, ciliegina sulla torta, è un testo pubblicato da Il Mulino, che non mi sembra una casa editrice così elastica e disposta verso le frontiere aperte e coraggiose di David Bowie, uno dei più grandi geni della musica di sempre.
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