Dimenticatevi Shakespeare, dimenticatevi anche Olivier
e Branagh: questo Il Re è un film riuscito a
metà, troppo a metà.
Addendum
Considerato che per un paio di lustri non avevo più letto l'opera teatrale originale del grande vate di Stratford, mi sono preso la briga di ridargli un'occhiata appena possibile.
Ebbene, questo film testé recensito ne salta a pié pari moltissimi momenti, ma, soprattutto, per i primi 10/15 minuti prende a prestito la parte finale del suo Enrico IV!
Per carità, non c'è
niente di male a proporre altre strade che sappiano rileggere il celebre dramma
storico anche in maniera iconoclasta e provocatoria; ma qui Netflix si
dimostra incapace di affidarsi a una buona sceneggiatura (nonostante il plot originale!),
a una fotografia coerente e a un montaggio almeno accettabile. C'è un po'
di tutto, ma mai di veramente risolto. Oppure, se lo è, si disperde per forza
di cose dentro la casalinga fruizione via streaming.
Del resto, uno dei
due sceneggiatori, Joel Edgerton, ha un curriculum di attore più interessante
rispetto a quello di autore; l'altro è lo stesso regista, David Michôd,
che ha strutturato il testo con la stessa insicurezza con cui ha diretto
quest'opera.
La trama va in
continua confusione, cercando di evitare continuamente Shakespeare proprio là
dove invece il testo originale si è sempre dimostrato attuale e
credibile. È un film ricco di quasi: c'è quasi violenza,
c'è quasi dialogo, c'è quasi Storia,
c'è quasi trama.
I momenti più intensi
- eccezionali, va detto - in cui si respira aria di cinema e di dramma e di
teatro, sono il duello iniziale e la battaglia finale: plausibili, faticosi,
ansiogeni, ansiosi e magari più efficaci sul grande schermo.
Timothée Chalamet è
sicuramente più bravo con la pregevole voce (ricca di sfumature) che con la
mimica facciale: sempre le stessa espressione, con una camminata che ricorda un
provinciale che approda per la prima volta nella metro di New York.
Delude proprio Joel
Edgerton: asciuga il multiforme Falstaff dentro momenti episodici troppo ovvi e
prevedibili, dimenticandosi peraltro di farlo morire come narrato dal vate
inglese. Ed è un peccato, perché con il Falstaff giusto l'intero film ne
avrebbe guadagnato, facendo passare certe sbavature in secondo piano.
Questo film prende
una sufficienza striminzita. Purtroppo conferma un difetto di fondo tipico
delle proposte di Netflix: la rincorsa alla lunga durata, costi
quello che costi; il pensare ai ritmi casalinghi piuttosto che a quelli
cinematografici.
Sono arrivato a
pensare che, così come si presenta adesso, tutto lo streaming stia
uccidendo il cinema, perlomeno per come lo concepisco io, nato e vissuto prima
di internet.
Il cinema vive anche
della magia della sala - con quel rituale di silente rito collettivo che
costringe tutti a vivere emozioni, a viverle a comando, circondati da perfetti
sconosciuti, immobilizzati allo stesso modo, senza più pensare a differenze
sociali o economiche.
Lo streaming puro,
invece, è una fruizione casalinga come un'altra: comoda e ceciona, ricca di
naturali distrazioni, dove ad ogni momento puoi frammentare la visione per
andare al bagno o per prendere da bere.
Non vorrei, insomma,
che lo streaming diventasse solo una parte dell'arredamento,
un frammento di parete che propone immagini. E nulla di più.
Addendum
Considerato che per un paio di lustri non avevo più letto l'opera teatrale originale del grande vate di Stratford, mi sono preso la briga di ridargli un'occhiata appena possibile.
Ebbene, questo film testé recensito ne salta a pié pari moltissimi momenti, ma, soprattutto, per i primi 10/15 minuti prende a prestito la parte finale del suo Enrico IV!
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