15 novembre 2019

IL RE, un Enrico V che sa di poco


Dimenticatevi Shakespeare, dimenticatevi anche Olivier e Branagh: questo Il Re è un film riuscito a metà, troppo a metà.
Per carità, non c'è niente di male a proporre altre strade che sappiano rileggere il celebre dramma storico anche in maniera iconoclasta e provocatoria; ma qui Netflix si dimostra incapace di affidarsi a una buona sceneggiatura (nonostante il plot originale!), a una fotografia coerente e a un montaggio almeno accettabile. C'è un po' di tutto, ma mai di veramente risolto. Oppure, se lo è, si disperde per forza di cose dentro la casalinga fruizione via streaming.
Del resto, uno dei due sceneggiatori, Joel Edgerton, ha un curriculum di attore più interessante rispetto a quello di autore; l'altro è lo stesso regista, David Michôd, che ha strutturato il testo con la stessa insicurezza con cui ha diretto quest'opera. 
La trama va in continua confusione, cercando di evitare continuamente Shakespeare proprio là dove invece il testo originale si è sempre dimostrato attuale e credibile. È un film ricco di quasi: c'è quasi violenza, c'è quasi dialogo, c'è quasi Storia, c'è quasi trama. 
I momenti più intensi - eccezionali, va detto - in cui si respira aria di cinema e di dramma e di teatro, sono il duello iniziale e la battaglia finale: plausibili, faticosi, ansiogeni, ansiosi e magari più efficaci sul grande schermo.
Timothée Chalamet è sicuramente più bravo con la pregevole voce (ricca di sfumature) che con la mimica facciale: sempre le stessa espressione, con una camminata che ricorda un provinciale che approda per la prima volta nella metro di New York. 
Delude proprio Joel Edgerton: asciuga il multiforme Falstaff dentro momenti episodici troppo ovvi e prevedibili, dimenticandosi peraltro di farlo morire come narrato dal vate inglese. Ed è un peccato, perché con il Falstaff giusto l'intero film ne avrebbe guadagnato, facendo passare certe sbavature in secondo piano.
Questo film prende una sufficienza striminzita. Purtroppo conferma un difetto di fondo tipico delle proposte di Netflix: la rincorsa alla lunga durata, costi quello che costi; il pensare ai ritmi casalinghi piuttosto che a quelli cinematografici.
Sono arrivato a pensare che, così come si presenta adesso, tutto lo streaming stia uccidendo il cinema, perlomeno per come lo concepisco io, nato e vissuto prima di internet.
Il cinema vive anche della magia della sala - con quel rituale di silente rito collettivo che costringe tutti a vivere emozioni, a viverle a comando, circondati da perfetti sconosciuti, immobilizzati allo stesso modo, senza più pensare a differenze sociali o economiche.
Lo streaming puro, invece, è una fruizione casalinga come un'altra: comoda e ceciona, ricca di naturali distrazioni, dove ad ogni momento puoi frammentare la visione per andare al bagno o per prendere da bere. 
Non vorrei, insomma, che lo streaming diventasse solo una parte dell'arredamento, un frammento di parete che propone immagini. E nulla di più.



Addendum
Considerato che per un paio di lustri non avevo più letto l'opera teatrale originale del grande vate di Stratford, mi sono preso la briga di ridargli un'occhiata appena possibile.
Ebbene, questo film testé recensito ne salta a pié pari moltissimi momenti, ma, soprattutto, per i primi 10/15 minuti prende a prestito la parte finale del suo Enrico IV! 



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