18 maggio 2020

How I Met Your Mother [attenzione spoiler]

La fortuna di vedere certe serie-tv fuori dal loro tempo è che non sei influenzato dall'umore che generano. E, forse, se avessi vissuto l'ultima stagione di How I Met Your Mother nel 2014, quando cioè fu trasmessa per la prima volta in tivù, forse la mia amarezza sarebbe stata meno misurata.
Ma partiamo dall'inizio. 
In sé per stessa, la serie è di assoluta qualità: su 208 episodi, giusto una ventina sono scadenti - o comunque ben lontani dallo standard; ma per quanto riguarda la struttura in generale, siamo di fronte a qualcosa di raro e di epocale. 
E questa eccellenza si riflette soprattutto sulla scrittura: sempre in tiro, sempre precisa e ben spalmata lungo tutto l'arco della narrazione - sia in ogni singolo episodio che per tutte le nove stagioni.
I personaggi e gli interpreti, poi, sono ben disegnati e credibili, mai fuori tono e in un crescendum di progressioni caratteriali che anche nei momenti eccezionali - o di scarto narrativo, rispettano la bibbia di partenza.
È la scelta conclusiva che lascia molto a desiderare, ma non per partito preso o per affezione per un personaggio (o per un attore). A mio avviso, insomma, siamo di fronte a scelte da America perbenista.
In soldoni: Robin, la donna in carriera (un'eccellente Cobie Smulders), non potrà avere figli; anzi, la maternità le viene negata dal Fato. In eterna rincorsa di un'approvazione del padre, prova a realizzarsi con Barney, uno sciupafemmine pressoché sovrapponibile a lei, tanto che prima lo lascia per eccesso di somiglianza, poi lo sposa per eccesso di lontananza, e alla fine è "costretta" dalla trama a divorziare. Insomma, la sua carriera vince su tutto il resto (al di là del contentino finale, che nulla toglie e nulla aggiunge).
Barney è lo sciupafemmine seriale (Neil Patrick Harris, monumentale). Gli viene negato lo stesso dono ma al contrario: non potrà avere una donna stabile, perché le sue mani sono sporche di soldi e di sesso. Redenzione negata, se non col contentino di poter crescere una figlia non voluta, ma proprio con quei soldi di cui non si conosce l'esatta origine.
Ted è il protagonista (Josh Radnor, a volte stucchevole) e... ama l'amore. In tutte le sue prolusioni, l'amore vince, ma lui poi perde. Del resto, come mestiere fa l'architetto: costruisce bei palazzi, ma non potrà mai abitarli; e l'unico che prova a costruire per sé, passerà non poche peripezie prima di essere completato. E alla fine, del suo vero ultimo amore restano i figli, perché il Destino gli uccide la donna della vita. E sono proprio i figli a suggerirgli di tornare dalla donna che in fondo ha sempre amato, Robin. Ma è una sequenza finale tirata per i capelli.
Lily e Marshall (Alyson Hannigan, all'inizio bravissima e alla fine monocolore; Jason Segel, bravo in crescendum) rappresentano la coppia perfetta e perfettina. Nonostante abbiano esperienze umane e sessuali pari a zero, elargiscono consigli strutturati che pronunciati da loro sembrano più predicozzi preconfezionati che esperienze sul campo. 
Ma la cosa che più evidenzia il mio pregiudizio contro la scelta degli autori è la sorte dei due loro personaggi. Lei rinuncia alla sua carriera come artista per sfornare almeno tre figli. Donna e artista è un controsenso, perlomeno per l'America bacchettona; quindi, meglio mamma e moglie devota.
Lui, da sbadato e ingenuo idealista, cosa diventerà? Giudice!
Io non credo alle coincidenze: aver scelto come mestiere quello del giudice per il personaggio-guida è una scelta ponderata e voluta.
Tra tutti gli attori e i cameo vari, la Smulders e Harris vincono senza alcun dubbio. 
Lei perché non fa la bella che fa la simpatica: è bella ed è simpatica, e all'occorrenza riesce a mortificare la sua bellezza o la sua simpatia senza strafare.
Su Harris, che dire? È mostruosamente bravissimo. Recitazione, canto, danza, mimo, non c'è attitudine che non sappia fare meglio di chiunque altro. Sotto molti aspetti, il vero protagonista della serie è lui, se non altro perché tiene spesso in mano le fila della trama e degli scarti narrativi, senza mai far pesare la sua presenza.
La domanda è molto semplice: cari autori, ma non potevate lasciare tutto come nel penultimo episodio?


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