La società della neve (2023) è un bel film commovente. Nonostante sia leggermente lungo (come sembra imporre un probabile “standard Netflix”), riesce a raccontare il terribile dramma delle Ande in maniera addirittura poetica.
Sono rimasto perplesso solo per come sia stato strutturato il finale: non vengono raccontati tutti i tentativi dei due “eroi” di raggiungere i soccorsi, prima di quello risolutivo. Così com’è, mi è sembrata un’impostazione sbilanciata rispetto al resto della sceneggiatura.
Voglio dire che i tempi narrativi del film seguono un ritmo lento (ma giusto) che tiene lo spettatore dentro una tensione emotiva consistente: questa sorta di scatto finale troppo repentino toglie un po’ di spessore.
Non vi spoilero l’origine della voce fuori campo, ma vi posso dire che funziona con dolce esattezza, mantenendo compatti i quadri narrativi e coinvolgendo lo spettatore senza ricorrere al pietismo.
Pochissima musica, ma al momento giusto (durante i soccorsi, poi, strappa più di qualche lacrima); fotografia eccellente; montaggio elegante; regia molto compassata.
L’epilogo, poi, è struggente: quando la cinepresa indugia sui resti ormai abbandonati della fusoliera, il cannibalismo e quei terribili 73 giorni arrivano addosso tutti insieme, mozzando il fiato senza pietà.
Se il nostro fosse un Paese adulto e maturo, sarebbe molto interessante proiettarlo nelle scuole, lasciando poi libero sfogo alle considerazioni dei giovanissimi
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