Sintetizzato frettolosamente come una sorta di Albero degli zoccoli del secondo millennio, questo Vermiglio è un film dignitoso, senza pretese, con alcuni spunti interessanti, con un sapore di fondo che ha l'enorme pregio di non essere "politico", "propedeutico", "militante", "civile"... insomma, tutte quelle definizioni noiose che purtroppo si accompagnano sempre a film come questo.
La storia è molto asciutta, quasi ovvia, non pretenziosa. Però, una volta entrati nel ritmo lento ma non faticoso della narrazione, diventa gradevole assaporare la quotidianità semplice e rituale della gente del Trentino più recondito, assediata alla lontana da un periodo storico tra i più difficili vissuti dall'Italia appena unificata: la fine della Seconda Guerra Mondiale.
Per fortuna, la regista ha evitato ogni allusione alla brutalità dei fascisti ormai sconfitti, tanto che sembra di essere in una bolla nostalgica, in cui le cose brutte sono alluse solo dai dialoghi tra gli adulti e dalla figura del giovane "disertore" che sedurrà una ragazza del posto senza dirle che in Sicilia lo aspetta la moglie.
Recitazione spontanea, mai costruita, con giovani e giovanissimi attori che quasi giocano con la professionalità, senza mai scimmiottare gli attori famosi. Segno dei tempi, sicuramente, visto che tutti più o meno inconsapevolmente siamo circondati da media di ogni possibile tipo, cui attingere modalità espressive o tutorial recitativi. L'unico professionista di fatto è Tommaso Ragno, serio e composto attore di stampo teatrale, che tiene bene le redini del gruppo e che opera come deus ex machina anche nella narrazione (è il maestro, nonché prolifico genitore).
Per restare nella sintassi della drammaturgia greca, ho trovato leggermente insistito il coro rappresentato dai bambini, cui la regista scientemente affida le nostalgie della propria infanzia: a volte stucchevole, a volte insistito, ai limiti dell'accettabile.
La regia è impalpabile. Il che è un pregio, perché lascia che sia la trama a dipanarsi. Per alcuni critici è un punto debole. Per me, invece, è quasi necessaria, proprio perché non deve essere militante e autoreferenziale. Spero solo che non si ripeta, questo sì: Maura Delpero dovrà dimenticarsi di questo film e della sua infanzia; altrimenti, diventerà ripetitiva e anonima.
Direzione della fotografia. Molto scolastica nelle inquadrature: camera quasi sempre fissa; campi totali con effetto pastello; interni quasi onirici; uso frequente della sezione aurea oppure di composizioni centrali sempre suggestive. Per le luci: gli esterni aiutano di loro (una meraviglia); per gli interni, ogni tanto intravediamo flare inutili oppure luci dinamiche troppo nitide, apparentemente artificiali.
Se dovessi pensare a un voto, più di 6 non riesco a darlo. Voglio dire che non mi sono né appassionato né sorpreso; due tra i parametri fissi con cui valuto il mio approccio ai film. Sicuramente, pesa l'averlo visto in casa, ma è un dettaglio comunque marginale. Insomma, è un buon film, ma che nulla toglie o nulla aggiunge alla Storia del Cinema Italiano. Certo, ha l'enorme pregio di non essere supponente, di non giocare a sembrare autoriale; però non è che lo consiglierei così visceralmente.
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