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Un tempo sarei intervenuto comunque, nonostante non avessi un fisico adatto né l’indole del picchiatore navigato. Da anni, però, i miei tempi vissuti - e il tempo che stiamo vivendo - mi hanno cinicamente imposto di calibrare l’istinto, per spendermi solo per le persone cui tengo.
Incidentalmente, due giorni dopo ho finito di vedere la prima stagione di The Last of Us (2023 - la seconda esce il prossimo 14 aprile). Ne avevo già parlato brevemente appena uscita, ma ancora non l’avevo gustata integralmente (e in lingua originale).
L’Umanità è stata decimata da un fungo che rende gli infetti dei quasi-zombi infestanti. La serie è ambientata qualche decennio dopo l’inizio della fine. Parte dei sopravvissuti si arrangia, subendo le angherie di una quasi-dittatura, in cambio di cibo e protezione; un’altra parte ha creato una sorta di Resistenza; poi, come prevedibile, c’è una quantità notevole di cani sciolti, sparsi e disorganizzati, ma non per questo meno pericolosi.
Il protagonista è un maschione adulto, fatto di muscoli e dubbi, con un senso dell’umana umanità tutto suo, ma credibile anche al di fuori della fiction: pochi tratti, ma ben scritti e ben interpretati. La protagonista, invece, è una ragazza piena di vita e di humor, e sembra essere immune al virus: la sua figura è credibile, anche se a volte l’attrice calca un po’ troppo l’interpretazione.
La Resistenza incarica lui di portarla verso un laboratorio supersegreto dove studieranno quanto/come/perché sia immune, così che possa tornare utile per l’Umanità rimasta.
Un viaggio pieno di insidie, le cui trame si dipanano rispettando tutti e quattro i topos narrativi: assedio, viaggio, sacrificio, ricerca. Una sorta di anabasi in cui i due imparano a conoscersi: prima nemici, poi scettici, quindi amici, infine inseparabili. Arrivati a destinazione, lei rischia di venire letteralmente vivisezionata; pur di salvarla, lui massacra l’intero avamposto della Resistenza e la porta via con sé.
La domandona che girava due anni fa, quando uscì la serie, era: in situazioni come queste, salviamo il mondo intero (sacrificando la piccola) o ce ne freghiamo e salviamo la piccola cui siamo ormai affezionati?
Certo, l’episodio del bus c’entra come i cavoli a merenda; però è indicativo di un modo di pensare che non credevo avrei mai raggiunto: prima proteggo la mia famiglia, poi forse il mondo tutto. È da egoisti? Sicuramente. Però, allo stato attuale, non riuscirei a proteggere un intero autobus, sapendo già che rischierei l’incolumità di mia moglie