Quindici giorni fa, il discorso dell’appena insediato Ministro Alessandro Giuli (qui il video - qui la trascrizione) ha generato meme e battute molto divertenti, ma ha anche prestato il fianco ad almeno due considerazioni.
La prima, piccina ma necessaria: fosse stato “uno dei nostri” a esporlo, avremmo gridato al ritorno della profondità in un Ministero così importante, soprattutto per il nostro Paese, così denso di testimonianze culturali di ogni tempo.
La seconda, meno piccina ma altrettanto necessaria: a che punto siamo arrivati se un discorso complesso sia diventato motivo di diffusa ilarità, anziché di plauso per il ritorno alla profondità (sebbene esposta in modo timido, rancoroso e apparentemente non testato)?
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Forse perché l’uomo di cultura non sa comunicare? Oppure non vuole saper comunicare? E quindi, forse anche grazie al social-ismo, sarà sempre più improbabile trovare un uditorio accogliente?
Trentacinque anni fa, entrai in polemica col Professor Guido Aristarco, proprio perché trovavo la sua invidiabile eloquenza troppo complessa e incoerente col suo dichiarato intento di voler arrivare al popolo. Lui rispose, sintetizzo malamente, che è il popolo che si deve elevare e non l’uomo di cultura abbassare. Che, in parte, è anche giusto; altrimenti, si rasenta la banalità.
È un problema antico come è antica l’essenza della sinistra, che di fatto ha generato almeno un equivoco: quel parlo male per darmi un tono, che Nanni Moretti aveva stranamente ben sintetizzato in una scena ormai icastica. E questo darmi un tono, sempre sintetizzando malamente, ha allontanato la gggente dalla cultura, perché è facile per le persone semplici confondere la cultura con chi la racconta o la rappresenta - generando, peraltro, quella facile dialettica di destra che osteggia e fa osteggiare il colto perché il suo stesso status umilia la gggente.
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Oppure sarà sempre così, perché alla gggente interessa poco la cultura.
Quando si dice che le “televisioni di Berlusconi” hanno reso stupidi gli italiani, ci si dimentica di aggiungere che evidentemente era fallito il “nostro” modo di avvicinare le persone alla profondità.
La famiglia Angela ci ha insegnato che si può avvicinare la gggente alle cose belle, presentandole con leggerezza e semplicità; ma è stata un’eccezione, visto che negli uomini di cultura prevaleva il modus vivendi di Aristarco.
Adesso, poi, il social-ismo e l’engagement comportano la sussistenza di bolle artefatte che ci fanno credere di essere all’altezza delle nostre aspettative. E appena arriva un corpo estraneo, come il discorso di Giuli, lo allontaniamo o lo banalizziamo con la derisione.
E paradossalmente, anche le persone di cultura, alimentandosi sempre più solo di sé stesse, perdendo di vista ogni possibile confronto, si stanno sempre più allontanando dalla gggente, perché non dà più senso alla loro preparazione (mediocre, peraltro, rispetto a quelle dei grandi del passato, da Pasolini in su).
Se devi comunicare il bello devi sacrificare il tuo ego; e in questo social-ismo così gratificante, non solo non conviene ma fa paura.
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È un discorso che meriterebbe più argomentazioni, è evidente.
In tutto questo, lungi da me “difendere” Giuli (per quanto trovi patetico presentare il mio curriculum politico per dare valore alle mie parole): alla fine, tra tutti i commenti che ho trovato sensati, spiccano quelli di Daniele Capra (qui) e di Stefano Monti (qui)