11 ottobre 2006

ricordi al plurale

Oltre ad essere un carissimo amico della mia futura sposa, Andrea Troiano è un giovanotto di 40 anni estremamente intelligente, dotto, simpatico, dotato di rare capacità culturali. Lavora in un mondo, quelle delle banche, lontano mille miglia dai sentimenti emanati da quanto segue.
L'avete conosciuto tempo fa, quando pubblicai i suoi brevi reportage dal Libano, quando cioè Israele la stava bombardando a passo di carica, e lui, con i suoi colleghi e altri nostri connazionali, fu costretto a un forzato rimpatrio. Lui, straniero in terra straniera là, è tornato qui, di nuovo straniero in terra straniera.
Oggi certi nostri aizzatori hanno già dimenticato quello che ieri impugnavano come arma di antiamericansionismo mascherato da buone intenzioni. Andrea non dimentica invece, non dimentica le persone con cui ha condiviso la propria quotidianità, di uomo privilegiato direte voi... è vero, aggiungo io, privilegiato perché ha un cuore e una memoria. "Difetti" che mancano a troppi strumentalizzatori delle nostre anime.
Buona lettura.

Lettera per gli Almaza.

È un po’ di tempo che volevo postare alcune riflessioni che ho iniziato a scrivere il 20/07/06, cioé quando sono stato “evacuato” da Beirut con il piano organizzato dall’ Ambasciata italiana.
Nel frattempo sono cambiate molte cose: alcuni di noi non sono ancora tornati o hanno cambiato destinazione, è nato Lorenzo Filippo, siamo riusciti a vederci a Roma ed a Livorno in formazioni ridotte, siamo stati in contatto con gli irriducibili Rita e Lorenzo, abbiamo seguito con trepidazione i telegiornali.
La necessità di scrivere mi è venuta – credo – per un desiderio neanche tanto inconscio di fissare quest’esperienza, di trovare un modo, attraverso i ricordi ed il nostro gergo comune, di stare in contatto. O forse, per riacquistare con calma una mia personale dimensione Almaza. Di condivisione Almaza: un po’ risate circensi, un po’ canzoni di Ligabue, un po’ farsi in quattro, un po’ Corto Maltese, un po’ imparare ad accettarsi e volersi bene.
Insomma, come quando mentre guidi alla radio, capita la canzone che non sentivi da tempo, che non ti aspettavi e che ti fa piacere di malinconia.

Ed allora, ecco la…

CRONACA DI UN TRASFERIMENTO

Molte cronache di viaggio o racconti d’avventura esaltano il dinamismo, la spinta verso la prossima tappa, il corpo che trova le energie e resiste fino alla destinazione attesa, la forza di volonta’ che moltiplica la convinzione.
Il viaggio diventa una sospensione tra un’origine ed una meta.
I viaggi piu’ frequenti sono quelli d’affari o per brevi vacanze in paradisi preorganizzati.
Consideriamo un viaggio in questo modo quando ci porta lontano, in luoghi di lingue, colori e sapori inconsueti; e forse gli attribuiamo una qualita’ “romantica”.
Il bisogno di respirare atmosfere cui non siamo abituati, dipinge paesaggi dell’immaginazione.
I viaggi in cui siamo costretti, invece, fanno crescere l’impazienza e la noia. Ci si astrae dal viaggio stesso e si rimane ancorati ad un nervosismo sterile. Ad un impossibile movimento fisico, si accompagna un insopportabile deterioramento dell’interesse verso le cose che ci circondano.
La situazione di “passaggio” diventa, quindi, una regione nebulosa di emozioni, di percezioni che sono reazioni a cose che non ci appartengono: appunto perche’ transitorie.
La mia condizione di “passaggio” è aspettare di arrivare a destinazione, lontano da Beirut, cosi’ incomprensibile.
Tutto mi sembra uno spreco di tempo, mi passano i visi ed i palazzi, i balconi con le bandiere e le automobili. Con una noia grigia. Tutte cose che si mischiano confusamente, alle quali resto prima sordo, poi sento che si accendono e si ricostruiscono sotto forma di suggerimenti visivi. Per costringermi ad “esserci”, a non pensare alla fine del viaggio.
Sono gia’ partito dall’Ambasciata e sto in fila al porto per salire sulla nave. Tutti sicuri perche’ le bombe sono lontane, sotto I cappelli e gli occhiali si spera finisca presto. Chissà se ho chiuso la finestra del bagno… i miei CD!. Si pensa alle cose, alla “roba”; io, che non ho gioielli !!!
Poi ho pensato dove fosse la mia casa, quale fosse il mio posto. Mi sono rivisto in tanti angoli di Beirut durante questi anni, posti da fichetti e manoushe notturni, musica e pizza, chiacchierate tardi, il profumo dei gelsomini di Byblos, il rumore delle onde quando trascinano le pietre della spiaggia a Batroun, il cinema un po’ alternative ad Hamra, la musica a Jemmaize del Bar Louie, il rumore di un tappo di bottiglia, i sandali ed i pantaloni di lino portati fino ad ottobre.
Tutto per costringermi ad “esserci”, a “sentire”. Poi ho pensato per quale motivo le mie impressioni, prima da passeggero malinconico ed annoiato, si fossero trasformate in sorrisi pieni, gustosi, come se davanti al vetro del bus rivedessi il film del mio “passaggio” libanese. I ricordi sono piu’ forti e sereni quando non ti vedi solo tu e le cose che ti circondano. Io ho dei ricordi condivisi, sono fortunato ad avere ricordi al plurale.
Da quando stavo a Londra ho ricordi al plurale. Talvolta sono stati ricordi che hanno percorso molta strada, e tuttora si muovono, con I ricordi di amici cari. E prendono forza dall’essere ricordi intrecciati, che si scambiano energia tra diversi proprietari.
Arrivato a destinazione, certo che stavo bene!! E ho capito che c’era ancora strada da fare dentro di me. Ho il bisogno di continuare a conoscere sempre meglio i proprietari di ricordi come me , per avere ancora voglia di costruire storie, di pensare ad altri viaggi.
Ancora un’Almaza, please. Shoukran.


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