02 novembre 2006

Babel

Il mio cuore piange la morte di una grandissimo scrittore: Nigel Kneale. I più lo segregheranno nella gora dei soli scrittori di fantascienza, reputando questo un genere da lettura da cesso o cose simili. In realtà, Kneale merita di essere collocato sul podio dei grandi narratori, tanto era lo spessore e la qualità del suo scrivere e dei suoi testi.

Confesso che non l'ha fatto apposta, ma i miei due post sullo scrivere e sul parlar bene sono stati pubblicati a ridosso dell'uscita di Babel, composto capolavoro di Alejandro González Iñárritu, già regista di 21 Grammi e di Amores Perros.
La storia si dipana dentro quattro situazioni (anche geopolitiche) ben differenti, ma accomunate da dettagli eterogenei, comunque simili o assimilabili.
Come tecnico, Iñárritu è straordinario. Una fotografia e un modo di usare la cinepresa (sempre a spalla) che sono una lezione anche per chi non si occupa di queste cose.
In alcuni momenti forse la trama traballa verso il manierismo, verso un'eccessiva consapevolezza di esser bravo. Consiglio di seguire con attenzione la sezione giapponese, la migliore, come anche di respirare con calma e attenzione l'insieme delle storie, perché è un film che forse restituisce due sentimenti contrapposti: profondo sgomento o profonda noia.
È una condizione che si manifesta quando ci si ferma in sala a cercare di capire bene cosa abbiamo veramente visto.
Io ancora ci sto pensando.
Certo è che mi ha colpito il fatto che la distribuzione italiana abbia deciso di lasciare i sottotitoli (e quindi la lingua originale: giapponese, marocchina o messicana che fosse) per tutti i set in cui i protagonisti potrebbero anche essere negativi.
I protagonisti wasp, invece, parlano italiano, con un corollario di messicani che, quando usano l'americano, vengono doppiati in similveneto... su tutto questo ci sarebbe molto da dire, ma mi fermo qua per evitare di fare il rompiscatole anche nel giorno dei morti.

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