15 luglio 2009

and you run, and you run
to catch up with the sun

La corsa infinita della maratoneta senza memoria
Repubblica
13 luglio 2009 pagina 34

LA MARATONETA corre, ma non chiedetele dove. Diane Van Deren non lo sa. La geografia e il tempo non se li ricorda più. Ha 49 anni, un marito, tre figli, e un pezzo di cervello in meno. Glielo hanno tolto nel 1997 perché soffriva di epilessia, diagnosticata mentre aspettava l' ultimo bimbo. Dai tre ai cinque attacchi a settimana, una vista sfasciata. Fino a quando si fa recidere parte del lobo temporale destro, lì si annidava il male. Adesso è una campionessa di gare estreme, ma non ricorda e non riconosce quasi nessuno: per tenerla a sé, il marito le fa vedere le foto del college, i figli la abbracciano. Lei per un po' rimane, poi escee corre. Ma prima tornava da sola, adesso se non rincasa a un' ora ragionevole vanno a riprendersela. La donna che corre ha 16 mesi quando una macchia le annerisce il cervello. Non si accorge di niente per molto tempo, se non di un' aura che viene e allora si allaccia le scarpe e va. È una sportiva, tennista professionista, si sposa, diventa madre, si ammala. Decide: «Bucate». Continua a correre. A quaranta gradi sotto zero, di notte, trai boschi, per ore, per sempre. Corre per stare viva, fino allo stremo, i limiti non sa dove stanno. L' anno scorso ha vinto una maratona straziante, la Yukon Arctic Ultra, 480 chilometri a -44 gradi nello Yukon Territory, Canada nord occidentale. Un posto per orsi, gelo, solitudine. E Diane. Il 9 febbraio, giorno della partenza, le motoslitte si congelano. 24 dei 31 partecipanti si ritirano presto, alcuni perdono dita di piedi e mani per ipotermia. Quello è un freddo che taglia la carne. Dopo otto giorni di violenza polare, lei invece arriva al traguardo bevendo acqua bollente e spingendo il corpo nella neve e nel vento ghiacciato, fa tutto il percorso, la prima donna al mondo a riuscirci e a sopportare tanto. Alla fine dice: «La considero senza ombra di dubbio la gara più dura del mondo, in realtà non mi rendo ancora ben conto di quello che ho fatto. È un' esperienza che va oltre quello che la natura umana è in grado di tollerare». Diane è invece ultra, con un pezzo in meno. Abita a Sedalia, Colorado, attorno le Montagne Rocciose. Corre per i canyon, pure di notte con una lampada sulla fronte, del tempo e delle distanze non sa. Quando parte dice: «Se non mi vedete entro cinque ore, chiedete aiuto». Si allena trascinando slitte cariche di sabbia. Il problema per lei non è la preparazione dei muscoli, ma quella dello zaino. Tutto va scritto sopra: cibo, acqua, vestiti. E quando usarli, perché lei si confonde. A destra, sinistra, avanti e indietro sono algoritmi complicati, le gambe invece sanno cosa fare. Segue solo la traccia del suono del passo sul sentiero. Se i piedi fanno musica, allora sta andando tutto bene. «Quando corre, si aiuta» ha detto al New York Times Don Gerber, il neuropsicologo che la segue. «Invece per il resto della vita, no». Bisogna segnarle con le pietre le strade e mettere le chiavi di casa sempre nello stesso posto. Dimentica dove parcheggia e perde gli aerei perché chiacchiera. I figli le hanno insegnato a usare un cellulare, lei manda sms così: «!!!!!!!!!!!!!!!!!!!». Alla maratoneta hanno tolto un po' di testa, ma il cuore c' è.
ALESSANDRA RETICO

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