22 luglio 2009

Cronkite, ovvero:
il giornalista eterno

Quasi due anni fa parlai brevemente della mia tesi di laurea perché era intrisa di mito americano. Ma non quel mitologismo stereotipato e veltroniano in cui JFK era fico, bello e bravo; semmai una mitologia assoluta, in cui l'America è un mito che va oltre se stesso.
Durante la discussione della tesi osai affermare che la Guerra del VietNam era stata persa prima grazie a Cronkite, poi grazie alle manifestazioni, solo alla fine grazie ai buoni uffici di Kissinger. "Orribile auditu", sentenziò una commissaria, "la televisione non può essere arbitra dei destini di una nazione!".
E già, nonostante fossimo già dentro al berlusconismo, la tipa era così fuori dal mondo da non aver capito nulla dell'importanza dei mass media.
Fatto sta che per me Cronkite è l'America. Non riesco ad immaginare un film senza il suo faccione uscire fuori dalla televisione del tinello della tipica famiglia wasp.
La morte di Cronkite è inconcepibile e inimmaginabile. Secondo me è ancora vivo: siamo noi che ci siamo trasferiti sul digitale terrestre.
So long, Walter, so long.

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