Gli ospedali hanno tutti lo stesso sapore, un misto di merda gialla, di plastica consunta e di piedi zozzi. Ma non è un puzzo così evidente. Più che altro è un'attitudine dell'ambiente, una sorta di status in nuce che noi pazienti "professionisti" percepiamo prima ancora che si manifesti agli altri comuni "mortali" (e già, perché il malato cronico si sente immortale).
Te lo senti dentro appena entri, sempre e comunque, anche se gli ambienti sono puliti, anche se devi parlare solo con i medici lontano dal reparto. È un odore lento e cinico, che si arrampica dentro l'immaginazione, che si collega allo sguardo e al tatto, che intrasenti anche nel malato più virtuoso.
Poi quando c'è veramente, ormai fa parte di te e lo vivi con disinvoltura.
E così, mentre chi ti viene a visitare lo vive con imbarazzo, tu invece ci sguazzi dentro con disinvoltura.
A fronte di questo - proprio per questo - io cerco sempre di lavarmi, cambiarmi, di avere un minimo di controllo igienico insomma. E allora càpita sempre un fenomeno che ancora mi colpisce, nonostante frequenti gli ospedali da tre lustri ormai. Dopo due giorni, cioè, che mi esibisco nella toletta mattutina, lentamente gli altri malati cominciano ad imitarmi, anche il più zozzone. È come se andassi a stimolare una recondita e sopita punta di stizza o dignità che più o meno tutti portiamo in dote.
Potessi usare in politica questa capacità, a quest'ora sarei già presidente del consiglio.
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