04 novembre 2010

sugli uomini e sugli dei

Pure sulle semplici traduzioni dei titoli dei film il Vaticano riesce a imporsi, e magari senza neanche aver mosso un dito.
Il titolo originale di questo film dice esattamente l'opposto della furbata ben poco implicita contenuta nella sua traduzione italiana: qui non si parla di "Uomini di dio", ma "Sugli uomini e sugli dei", che è cosa più complessa, più evoluta, più filosofica, e soprattutto... laica, nel senso greco del termine. E l'apologo finale di padre Christian sta lì tutto a dimostrarcelo, porca paletta!
Non credo che sia un grande film, ma un film che può contribuire ad un dibattito sereno e civile, dove però sarebbe impossibile non trovarsi d'accordo perlomeno su un punto: ogni forma di religione, anche la più civile possibile, è un atto di imposizione. Che poi uno la condivida o no, è un'altra cosa; l'importante è che non costringa gli altri a quella condivisione.
Ed è forse questa la chiave dell'ottima sequenza in cui Christian e il "terrorista" si incontrano la prima volta.
Più in generale, chi ha sceneggiato questo film sembra consapevole della minaccia della moltitudine di ovvietà che avrebbe potuto incontrare, tanto che il pathos si apre timidamente - e quasi da solo, senza spintarella - solo dopo la sequenza dell'elicottero. Tant'è che ne consiglio una visione distaccata, altrimenti la lentezza iniziale potrebbe risultare addirittura snervante.
Per il resto, grandi attori, fotografia discreta, una regia un po' distratta, un'ottima scelta dei brani religiosi (ti aspetti che arrivi da un momento all'altro il sassofono di Jan Garbarek), e... poca retorica. Vivaddio, è il caso di dire.


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