Solitamente, i film cosiddetti "di denuncia" si possono dividere in due grandi attitudini: quelli che parlano di qualcosa che nessuno sa e/o che nessuno vuol far sapere; quelli che parlano di cose che si sanno - ma in ordine sparso - riassumendole in una trama precisa, capace di elencare danni possibili/avvenuti e responsabilità precise.
Ambedue questi filoni tendono comunque a dirci tranquillamente che i colpevoli siamo anche noi, comuni mortali e borghesucci viziati, con il nostro consapevole silenzio, che spesso non è nient'altro che vile condiscendenza.
Poi ci sono i film supereffettati, che usano le basi di queste denunce per far divertire la gente, e che spesso banalizzano problemi serissimi (ad esempio quelli disastroecologici, che, mirando troppo in alto, deresponsabilizzano ancor più la già pecorona popolazione bianca, cristiana e occidentale).
Contagion riesce a tenersi a distanza sia dal serioso e palloso film di denuncia, che da quelli ipereffettati con le onde alte 8 chilometri e assurdità simili. Ci riesce così bene, che personalmente ho sperimentato ieri in una sala del centro di Roma come il film non abbia accontentato né i seriosoni né i ragazzoti che amano i disastri. Intendiamoci: silenzio e attenzione assicurati, curiosità a mille, ma anche una leggerissima delusione finale. Ed è un peccato, perché il film c'è, e ha una sua forza.
Fatto sta che Soderbergh racconta l'esistente, senza giocare sul "cosa accadrebbe se...", perché in fondo il rischio di cui si parla è reale, potenzialmente concreto, in parte già accaduto e già temuto.
Tempo fa per RaiScienze misi online un servizio sui moduli di evacuazione elaborati per eventuali disastri sismici nel napoletano: protocolli di sicurezza che esistono sulla carta, ma che mai sono stati concretamente sperimentati, e il cui modello si basa comunque su un "cosa accadrebbe se..." di bassissimo profilo. Gli intervistati denunciano, infatti, che di fronte a un qualsivoglia evento sismico o vulcanico, paradossalmente ci sarebbero molte più vittime per l'impreparazione conclamata delle istituzioni che per il disastro in sé.
Ecco, questo esempio calza a pennello, perché mentre in questo video i protagonisti raccontano e spiegano, nel suo film Soderbergh fa solo vedere: riesce, cioè a fare il cronista asettico, senza mai dire la propria, aggiungendo rade e sofisticate punte di trama (tanto per tenerci attenti), accennando qua e là a momenti polemici credibili proprio perché non enfatizzati.
Lo scienziato folle non c'è, ma quello pragmatico che sa muoversi perfettamente tra scienza, burocrazia e fama, fa molta più paura e impressione, perché reso molto bene e con connotazioni mai stucchevoli.
Ancor più precisa è la figura del blogger: maleducato, arrogante, presuntuoso, incompetente, egolalico e capace di mentire pur di soddisfare la cecità ottusa dei suoi 12 milioni di follower.
Notevole la musica, quasi Tangerine Dream del periodo '70/'80; ottima la fotografia (dello stesso regista); attori noti a raffica, quasi come in certe cose dell'ultimo Altman, capaci di lavorare sempre per sottrazione e con spontanea eleganza; prodotto anche dalla mitica Participant, di cui ho tessuto elogi più di una volta.
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