Ogni tanto mi ricordo che il mio primo amore è il cinema, per cui ho dedicato tutti gli esami extra che mi consentiva il vecchio ordinamento di Lettere Moderne; una passione che a volte quasi mi soffoca, per quanto l'adoro e ne ho psicofisiologicamente bisogno.
E questo mese mi è andata abbastanza bene, visto che sono riuscito a vedere (quasi) tutti i film che volevo vedere. Va detto che in linea generale sono sempre più convinto che il cinema come forma d'arte sia sempre più in crisi, e non solo per mere questioni di affollamento (troppi film in pochissimo tempo e per pochissime sale e per pochissime settimane), ma per totale mancanza di idee.
Ormai il reboot è moda fissa, tanto quanto l'andare a pescare dentro comics, remake, riedizioni, rivisitazioni et similia. Forse, e come sempre, giusto la fantascienza e l'horror mantengono quella rara attitudine di saper raccontare i tempi che corrono, mettendoli sapientemente in discussione.
Ed è proprio il primo film, The Artist, che tradisce e dimostra tutti i difetti di questo modo di fare cinema. Si è andati a ripescare un 4/3 in bianco e nero e muto per narrare una storiella che altrimenti sarebbe stata scipina scipina. Per carità, mi è piaciuto, e molto pure: è come bere un simpatico bicchiere d'acqua; ma addirittura dargli qualche Oscar mi sembra esagerato.
Le Idi di Marzo dimostra, invece, che il mio sosia George Clooney è meglio come regista che come attore. Un po' come Eastwood, insomma, il nostro decaffeinato sa usare magistralmente la cinepresa, gli attori e le sceneggiature per raccontare a dovere sentimenti e attitudini che altri proporrebbero in maniera piatta e artefatta. Clooney, quindi, gli dà sotto come pochi, sbavando giusto con un'inutile carrellata nel prefinale; ma è cosa trascurabile.
La Talpa vede un immenso e monumentale Gary Oldman (non)recitare alla grande, non facendo rimpiangere Alec Guinness (anzi: alla fine è quest'ultimo che gli deve qualcosa, a ritroso verrebbe da dire). Certo, si capisce subito chi è il cattivo (complice quella che io chiamo la "sindrome della Signora in giallo"), però vale più di una semplice visione distratta o saputella. Notevole, insomma.
Mission Impossible - Protocollo Fantasma picchia sodo alla grande: dei quattro dell'amabile franchising è sicuramente il migliore, il più divertente e il meno ridicolo. Oltretutto non c'è solo il dianetico a fare la sua parte, e la coralità dei tappetti (sono tutti bassi, 'sti attori, eh?) è veramente azzeccata e gustosa. Da vedere (specie per i titoli di testa, una meraviglia di sommario), senza indugi, e in una grande sala... altro che 'om tiater.
Ma è Shame che merita la mia palma d'oro mensile. Film straordinario nella forma (forse un po' ammiccante) e nella sostanza (devastante quanto terribilmente imbarazzante, e non certo per il pipone messo lì in bella mostra... e che pipone, oh!). Insomma, è un film piùccheperfetto, sia stilisticamente che nei contenuti, dove regista e protagonista lavorano veramente come una sol persona per restituirci un film femminista, doloroso, e di rara bellezza.
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