Devo ringraziare SuperEnzo Pietropaoli se il 30 aprile scorso con mia moglie sono stato tra i 600 spettatori privilegiati che hanno assistito al concerto ufficiale italiano per il primo International Jazz Day organizzato e voluto dall'UNESCO.
Il suo mettermi da parte due preziosissimi biglietti (galleria; fila 5, posti 21 e 23) è stata una perla nella perla. Raramente dimentico questi gesti, che per molti sono piccole cose, ma che per me significano molto.
Io credo nel jazz da quand'ho iniziato ad ascoltare la musica, perché è un genere musicale che suggerisce infinite strade e infiniti linguaggi, tutti affascinanti e dignitosi, e che permette a donne e uomini diversi e di diverse culture di incontrarsi e magari anche di inventare linguaggi nuovi, senza dover rendere conto a chicchessia, senza doversi sforzare di capire il linguaggio dell'altro, perché in quel momento è l'incontro che crea linguaggi, ed esplorazioni, e tante piccole e grandi cose che posso essere descritte con un silenzio, con uno sguardo o con lunghe chiacchierate in compagnia di una buona birra.
Ascoltare Danilo Rea, Enzo Pietropaoli e Jeff Ballard omaggiare e salutare e vivere insieme a noi il jazz, è stata un'esperienza veramente intensa.
Tra i brani eseguiti segnalo Close to you, Barcarolle (Tom Waits sarebbe stato d'accordo), I got rhythm (nella versione più sincopata), Bye bye blackbird (eseguita con rara superbia), Intermezzo dalla "Cavalleria rusticana" (un po' piaciona, ma solo noi italiani sappiamo suonarla in qualsiasi modo), Nero a metà (già, proprio Pino Daniele), e un delicato omaggio a Lucio Dalla con il suo 4-3-1943.
Naturalmente non sono mancati anche i soliti ammiccamenti ai Bitols, su cui - lo sapete - esprimerei sempre e solo riserve (su loro, non su come li hanno suonati i nostri).
Ho una grandissima stima per SuperEnzo perché è un bassista di rara puntualità, accorto e mai molesto, audace ma mai sbruffone, sempre pronto a farsi da parte e sempre attento ai cambi dell'improvvisazione altrui. Quando gli ho detto che lo considero tra i primi dieci bassisti nella storia del jazz, mi ha consigliato di rivolgermi ad uno psichiatra: fatto sta che proprio questa sua prova così celebrativa, consiglierebbe a qualsiasi psichiatra di darmi ragione o cambiare mestiere.
Danilo Rea si è esibito alla grande, limitando certi suoi abbellimenti troppo di mestiere. Certo, il paragone con altri grandi viene spontaneo. L'unico appunto che gli ho sempre fatto è di non fermarsi un attimo per esplorare nuove incognite. Per dirne una: pochi mesi fa, Keith Jarrett ha detto che solo da poco tempo ha iniziato a usare la sua mano sinistra (sic!): per quanto possa sembrare una provocazione, diventa invece una lezione per tutti. Danilo ha rispettato il patto con gli ascoltatori durante questo concerto: però voglio vederlo alla prossima.
Last but not least, tanto di cappello a Ballard: dal suo carnet ho constatato che ha avuto pochissimo tempo per provare con i nostri. Eppure sembrava conoscerli da sempre: disicplinato, puntuale, ironico, attento, preciso, nitido. Mai una sbavatura (persino nel solluccheroso interim di Mascagni).
Insomma, un'esperienza incredibile, che le istituzioni (tutte!) e la Rai hanno ignorato, se non nello speciale web fatto dal sottoscritto (accuratamente attribuito ad altri), e lo speciale di Rai3 trasmesso in seconda serata e sin troppo bollanicentrico. Ma è la solita vecchia storia, no?
Evviva il jazz, però: sempre e comunque.
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