A volte, cioè, questi momenti di alta sceneggiatura - apparentemente statici (è pur sempre un pianosequenza di 17') - restituiscono pensieri e considerazioni che vanno al di là del tema di partenza.
Il dibattito tra i due, infatti, parte da un presupposto che ha sempre valore da che esiste l'uomo: fino a che punto vale la pena lottare per qualcosa? "La mia idea è molto semplice: e per questa vale la pena di combattere a costo della vita", dice Bobby Sands. Cioè: per difendere un principio di libertà assoluta, sei disposto a negarla con la privazione della tua esistenza?
La cosa interessante è che il prete dibatte con strumenti tutt'altro che religiosi, preoccupandosi più delle sorti della lotta che della vita del singolo uomo. Cioè: che significato politico avrebbe la scelta di Sands? Le conseguenze sarebbero quelle sperate, oppure la Tatcher continuerebbe nel suo comportamento strategicamente corretto (dal suo punto di vista, è ovvio)?
Anzi, per cercare di spostare l'ago della conversazione verso lidi più furbi, il prete utilizza l'arma impropria del dolore che la scelta di Sands causerebbe ai suoi famigliari, specie a suo figlio. Un rimando all'egoismo che quasi condividiamo mentre assistiamo allo scambio, e che poi/però ci fa vergognare di averlo condiviso.
Interessante notare come anche l'oggettiva identità cattolica dei due non venga mai usata come bandiera (vivaddio, verrebbe da dire), quasi fosse cosa scontata e/o implicita e/o inutile. Certo è che la potenza evocativa di questo dialogo costringe il pubblico a parteggiare per l'uno o per l'altro, indipendentemente dalle convinzioni di partenza (e dalla pessima traduzione in fase di doppiaggio).
Un dialogo, insomma, che andrebbe ripetuto nelle scuole e nei consessi dei nostri partiti (anche dei farlocconi a 5Stelle) perché riassume nitidamente la necessità della chiarezza, del documentarsi e documentare, del sapere quando è giusto agire in un modo anziché in un altro, di essere pragmaticamente proiettati nel futuro prossimo... insomma, un esercizio di intelligenze a confronto, che merita veramente rispetto e considerazione.
Sicuramente "vince" Sands, non tanto perché sappiamo "come va a finire", ma perché l'allegorico racconto del cavallo sembra più convincente, il giusto compromesso (se di compromesso vogliamo parlare) tra la poesia della lotta e la prosa della quotidiana fatica per amministrare le conquiste.
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