Che poi tutti questi giornalisti che fanno a gara per definirlo "poeta maledetto". Ma cosa mi significa? Frasi inutili e vuote per relegare un talento mostruoso nella gora dell'eterno borghesismo perbenista.
Lou Reed era una miniera ricca di gemme preziose, a volte seducenti, spesso così ben intarsiate da essere difficili da individuare, che comunque scoprivi lentamente e con gusto, sorseggiando caffè e fumando una Lucky Strike. Ogni tanto ti fermavi accanto alla sua ombra e ti beavi di una sua idea, nel semibuio della tua coscienza, per poi riprendere il cammino là dove volevi, perché tanto la strada da percorrere era senza meta e senza indicazioni.
Potevi tornare indietro, pensando che fosse un indietro; oppure potevi girare forse verso che quella sembrava una svolta; oppure ti fermavi di nuovo e cercavi la cicca semispenta e quel sapore sornione di New York che permeava ogni sua singola ruga.
Lou Reed è nato con le rughe pronte a segnarlo, che poi si sono mostrate come autostrade verso il subconscio, o verso un vizio, un'indulgenza, una rara capacità di essere consapevoli che il mondo è fatto com'è fatto, puoi sperare di cambiarlo, ma in realtà devi evitare di soccombere te stesso nel tentativo inutile di renderlo migliore.
Non c'è un'immagine precisa e decisa di Lou Reed nella mia vita. So solo che c'è sempre stato. Ora che è morto, ho capito che si è portato via una parte di me; il giorno che capirò quale, forse sarà tardi.
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