Non ho mai sognato i leoni africani, forse perché nutro così tanto rispetto per la figura di Hemingway, o forse perché quando andai in Kenya li sfiorai più volte senza vederli dal vivo (leggenda vuole che abbiano dormito esattamente sotto il lodge sospeso dove mia moglie ed io passammo la notte a ridosso del disneyano Lion's Rock).
Non sono mai stato così comunista da immaginarmi quel tipo di comunismo tanto ambito da Che Guevara e tanto temuto da Fidel Castro.
Ma, soprattutto, quando viaggio non porto con me nessuna aspettativa, ma un filtro di enfasi predigerita che mi porta a vedere tutto dagli occhi di un ebete sognatore piuttosto che di un patetico chtawiniano borghese.
Eppure, io di Cuba ho dei ricordi densi, tondi, lunghi come lunga fu la lunga vacanza che ci passai a cavallo di una festività natalizia come questa, con una temperatura marzolina che ancora non ha tarato il proprio orologio emotivo.
Di Cuba ricordo il milione di pipistrelli che ci passò sopra la testa ma che non vedemmo quasi per nulla, considerato che erano piccoli piccoli piccoli così.
Di Cuba ricordo la piscina sperduta nel nulla, con l'acqua alta un metro e che io credevo più profonda tanto da sbattere le ginocchia del giusto, senza rischiare la paralisi ma portando con me il terrore che sarebbe potuto accadere il peggio.
Di Cuba ricordo gli insetti che ci rimbalzavano sul materasso di notte: io avrei pure dormito se non fosse per il fatto che la mia piccola principessa teme anche l'idea stessa di un insetto, figuriamoci uno vero che ti cammina addosso.
Di Cuba ricordo un immenso ragno fermo in mezzo alla strada, che la mia piccola signora vide per prima reputandolo morto, ma che appena fu fotografato dal sottoscritto, decise di muoversi da quell'atelier improvvisato fatto di asfalto dozzinale.
Di Cuba ricordo i bambini dei villaggi sperduti. Ai primissimi che incontrai, regalai uno dei numerosi pacchetti di tic-tac preventivamente acquistati proprio per questa evenienza. Al villaggio successivo, gli altri bimbi già sapevano tutto e me ne chiesero in abbondanza. In un paese con pochissimi telefoni e una manciata di cellulari, mi chiedo ancora come abbiano fatto a passarsi parola.
Di Cuba ricordo il mare, trasparente e operaio: pieno di mangrovie e di celeste, lontano lontano una barca che sembrava quella di Spencer Tracy di ritorno dalla pesca.
Di Cuba ricordo la vecchietta fiera ed orgogliosa del saper computare perfettamente la tessere mensile.
Di Cuba ricordo le tracce del Che, come fossero state lasciate pochi minuti prima... de tu querida presiencia, Comandante che non abbiamo mai incontrato.
Di Cuba ricordo un paesino sperduto, assediato da un fiume e con un ponte lungo così, in lontananza alcune scimmie sugli alberi e davanti a me un lungo palazzo tipo Corviale in cui non abitava nessuno... ottimo come location per un film distopico.
Di Cuba ricordo un lago usato per la gita fuori porta, un lago circondato da un bosco e con una cascata alta poco più di un metro. Intorno, esuli cubani e gente comune, tutti insieme a ridere e a bere, immersi nei propri dignitosissimi vestiti senza tante velleità.
Di Cuba ricordo un bellissimo bimbo di L'Avana. Lo fotografai e poi gli allungai qualche spiccio. La mamma si offese. Giustamente: il mio fu un gesto di rara cafoneria.
Di Cuba ricordo un vecchio che mi accompagnò lungo tutto il Malecon: l'avevo conquistato con sigaro che gli avevo offerto senza alcun fine elemosinante. Per lui era oro, e io un amico per la pelle. Ho fatto più foto belle in quell'occasione che in tutto il resto della mia vita.
Di Cuba ricordo le bandiere davanti l'ambasciata americana. Era il cinquantenario della Rivoluzione: invece di essere solitamente nere - a significare uno dei tanti lutti di martiri senza tempo, erano le bandiere di Cuba, le bandiere di un'idea.
Di Cuba ricordo profumi, colori, odori, strade e alberi, uccelli e mare, salite e persone. Tante persone.
Di Cuba ricordo tante cose. Ma sono mie, solo mie. Non saprei dire se siano accadute oppure no. Però mi piace pensarlo.
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