Vorrei provare a condividere
con voi una potenziale conseguenza del
mio aver raccontato l’errore che mi è capitato durante l’ultimo Sanremo.
Con una serie di rapide premesse, fondamentali e necessarie per conoscerci
meglio (leggermente meglio).
Io adoro le parole, adoro il
loro suono, il come cambiano senso a una storia a seconda di dove le collochi e
quando le usi. Addirittura, odio ripetere le stesse parole, pure in circostanze
leggere. Soprattutto, ho un grande rispetto per il loro significato.
Se in circostanze ponderate,
io uso una parola piuttosto che un’altra, una virgola, un accostamento, una
sequenza, è perché ci ho ragionato sopra. Poi, è ovvio, c’è sempre il limite
del perfezionismo nevrotico; me ne rendo conto.
Alcune persone, per
grossolaneria o per ragionata malafede, tendono a stravolgere l’uso delle
parole. Tu dici blu, ma loro ti
costringono a giustificarti perché avresti detto rosso. Ergo, non riusciamo a chiarire il nostro pensiero, perché
costretti a ribadire cosa non si è
detto.
Tant’è che alcuni
opinionisti/giornalisti abusano di questa mentalità, “raccontando” il pensiero
altrui, riassumendolo in maniera comoda oppure indicandone solo una parte,
oppure decontestualizzandolo. Certo, si riparano spesso al rimandare
all’articolo originale tramite un link;
ma in pochi vanno a verificare, si sa.
Come corollario a questo
metodo, troviamo il framing. Lo
conoscete tutti, ma non con questa definizione apparentemente tecnica. Il framing è il presentare una persona
attraverso un solo dettaglio, approfittando del fatto che il nostro
interlocutore si fidi più di noi che di chi stiamo indicando. Dato che una
parte della gente tende a fare il tifo per l’una o per l’altra parte, se subite
il framing non ne uscite più; se,
invece, lo attuate, avete vinto in partenza. Comunque, è una tecnica
esecrabile.
Se a questi due nodi
fondamentali del comunicare, aggiungete la gggente
(vera o presunta), la frittata è fatta. Il web
ha tolto ogni filtro oggettivo alla lettura e alla scrittura; che sia un
bene o un male, non è materia di dibattito, perlomeno in questo post. Resta, però, oggettivo ed
inequivocabile che chiunque si sente in diritto (ma anche in dovere) di dire
per forza la sua, senza pensare che nel web
le parole restano, le sentenze pure, e che l’approssimazionismo di ormai
troppi lettori è sempre in agguato.
Veniamo a noi.
Prima,
per cortesia, leggete questo testo.
Altrimenti non siete miei lettori :-)
Ecco, l’avete letto? Ora,
leggete qui, per cortesia. Abbiate pazienza.
Lasciate perdere:
·
i toni
·
quel “caro
Alessandro” (poteva scrivere “carino”, come avrebbe detto la Duchessa Vago per
disprezzare la plebe)
·
il fatto che
Claudia Vago sia ben visibile - e quindi oggettivamente avvantaggiata nel caso
di una polemica - dalla “corazzata” dell’Huffington
Post (di contrappasso, che dovrei fare? Chiedere spazio al sito della Rai?)
·
il fatto che NON mi abbia scritto prima una mail in privato
per approfondire alcuni aspetti (per correttezza umana, direi)
·
il ridondare di
quei “dici”, che di fatto mettono in dubbio la mia parola
Lasciamo perdere tutto
questo. Claudia Vago commette qualche eRore e sembra NON conoscere l’argomento;
oppure, nella fretta, si è dimenticata di conoscerlo. Come? Semplice. Abbiate
pazienza, e vedrete.
Primo punto:
nel mio post
originario, rimandavo al
link di un articolo apparentemente
scorretto nei confronti di Carlo Conti e del Festival di Sanremo. La notizia per un opinionista (se notizia ci
fosse stata) sarebbe potuta essere un’altra:
“Notate come il quotidiano XY abbia
sparato nel mucchio, mentre invece il motivo è più banale”.
Io potevo stare zitto e far
sì che la melma restasse sulle spalle del Festival
di Sanremo. Ora: dato che conosco chi si fa il mazzo, e quanto me ne faccio
io, non riuscivo (e non riesco) a sopportare che un mio tweet sbagliato
potesse infangare l’immagine della professionalità di un’intera organizzazione.
La cosa divertente è che Claudia Vago non
cita mai l’articolo da me riportato, anzi sembra che non se ne sia accorta!
Cosa costava a Claudia Vago cliccare sul link
esplicitamente collocato nel mio post?
Avrebbe scoperto che il tono del mio post
era generato da quell’articolo.
Secondo Punto: da quel non citare la mia citazione, Claudia Vago arriva facilmente alla
retorica maternalistica. Leggete qui: Perché
in questo Paese c’è sempre il bisogno di trovare un colpevole altrove per non
doversi mai assumere la responsabilità di niente? Claudia Vago, non ho scaricato
la mia colpa su nessuno. Bastava leggere.
Terzo punto: con tecnica del framing a go-go,
Claudia Vago definisce “tentativo di giustificazione” il mio post che raccontava l’accaduto.
Attenzione: tentativo. Poi: giustificazione. Due definizioni false e
tendenziose in una sola riga.
Quarto punto: Claudia Vago implicitamente critica l’aver cancellato il tweet. L’ho cancellato perché se io calpesto una merda, mi pulisco
i piedi; se la merda fosse finita sotto le scarpe di tutti i miei colleghi, sarebbe stato
molto peggio. Inoltre, come ben si sa, se sbagli un tweet e lo cancelli anche subito, è comunque facilissimo stamparlo o ritrovarlo.
Quinto punto:
Claudia Vago attacca la Rai per
interposta persona, usando addirittura il mio nome e cognome dallo scranno di Huffington Post, chiedendosi come mai un
solo social manager possa seguire un festival di quella portata,
postando/twittando su 5 account contemporaneamente.
Il problema è la Rai o il mio errore?
Quante cose abbiamo sul piatto di Claudia Vago?
Sesto punto E
poi, esistono strumenti nel web che
consentono di gestire un numero pressoché illimitato di social. Una sola persona potrebbe
seguire più account. Lo sappiamo noi
addetti ai lavori, cui Claudia Vago è annoverata. Parlarne fuori dal nostro contesto, significa solo costruire una ragione che non ha una
base corretta. O spieghi accuratamente come si possa fare, o non usi impropriamente questa apparente follia di saper usare numerosi
social contemporaneamente.
Settimo punto,
gravissimo: un sindacalista magari non addentro alle meccaniche illustrate nel sesto punto,
legge il post di Claudia Vago; decide
allora di andare dall’Ufficio Personale della Rai e pretende spiegazioni sul perché una sola persona lavori ai social; l’Ufficio Personale della Rai
- che a sua volta può non conoscere l’intero contesto - si spaventa e riprende
il mio dirigente, che a sua volta mi toglie dal mio ruolo e al minimo mi
demansiona, al massimo mi sospende per quattro giorni. Claudia Vago, vedo che
sei di sinistra, o pretendi di esserlo: per colpire un gigante che neanche
scalfirai, colpisci un dipendente peraltro corretto perché ammette un errore?
Ottavo punto: Claudia
Vago lamenta
una certa asetticità del mio live
twitting (pensando addirittura che qualcuno me l’abbia ordinato).
Gioco scorretto in partenza, mi vien da pensare. Secondo Claudia Vago, durante
un Festival avrei dovuto commentare le performance dei cantanti in
gara? Ripeto: in gara? Io mi sono
lasciato andare con gli ospiti. Ma con i cantanti, no! E se Claudia Vago fosse
la persona che sembra essere, doveva saperlo e quindi evitare di aggiungere
legna al fuoco.
Nono punto: dal
suo account Facebook personale,
Claudia Vago scrive che il giorno dopo l’incidente mi sarei arrampicato sugli specchi
dal mio account Twitter privato
(persino retwittando numerosi tweet a mio favore; ma dài). Ora: non
solo non è vero; ma ha approfittato del fatto che pochi dei suoi lettori
andranno a controllare la mia timeline.
Andate a verificare la
mia timeline e non troverete
specchio alcuno, figuriamoci delle arrampicate.
Decimo punto:
nel suo articolo, Claudia Vago scrive che io cerco un colpevole senza assumermi
le mie responsabilità. Dico: ma i suoi lettori l’hanno letta? Ricapitolando: senza che nessuno gliel’abbia richiesto, Alessandro Loppi dice “ragazzi, quella cazzata di ieri è opera mia”...
e cosa fa Claudia Vago? Prende il mio post
- dove ammetto l’errore - e dice che non
mi sono assunto la responsabilità dell’errore!?! “Cara” Claudia, ma ce ffai o cce
sei? Almeno: hai controllato cos’hai scritto, sì o no? Ma chi ti legge e segue,
perché non se ne accorge? Perché non ti fa notare questa specifica
contraddizione? Possibile che tu debba usare simili mezzucci retorici?
Non mi sembri la tipa.
Insulto finale, a corollario di tutto questo ambaradam, dal suo account Facebook personale Claudia Vago scrive: “Io
volevo dirvi che però con soggetti così perdo le speranze che il mondo possa
migliorare”. E questi sono i metodi che usa Claudia Vago senza conoscere la storia personale di
chi aggredisce? Ma Claudia Vago è sicura di sapere la mia storia umana e
professionale?
Il tutto per un tweet sbagliato e ammesso.
La prossima volta, me ne
resto a casa a sentire Keith Jarrett.
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