12 marzo 2015

la fine dei Sopravvissuti

Era il 1979, avevamo ancora la televisione in bianco e nero: larga come una stanza, pesante come un Tir, emanava calore vulcanico dopo soli venti minuti di uso, con l'aggravante che per accenderla ce ne volevano almeno cinque. 
Per cambiare canale, per alzare il volume, per regolare il contasto... bisognava alzarsi! Addirittura, nelle famiglie numerose il più piccolo era preposto alla scomoda attività, con tutta una serie di canonici litigi per decidere l'esatta calibrazione di tutti i parametri. Roba di altri tempi, lo so, che spesso rivango con stupida nostalgia.
Certo è, però, che tutto era nuovo allora, nel senso anche storico del termine: i primi telefilm, i primi sceneggiati, i primi anime, i telegiornali... la televisione, insomma, stava percorrendo strade che oggi neanche riusciamo più ad intravedere, e che invece sono state pionieristiche e ricche di suggestioni uniche e irripetibili.
La mia generazione, insomma, ha avuto il rarissimo privilegio di viverle all'età giusta, con lo spirito giusto, e soprattutto con prodotti sicuramente commerciali ma che avevano spessore; ancora oggi non sfigurerebbero affatto davanti a cose innovative come Breaking Bad o 24.
Tra queste esperienze, credo che la serie in tre stagioni de I sopravvissuti sia insuperabile ancora oggi, nonostante una sceneggiatura spesso ingenua e delle trovate contraddittorie (specie nell'ultima stagione).
Il pretesto narrativo iniziale appartiene a quella tipica distopia post flower power, che quindi non additava alla Guerra Fredda responsabilità dirette: scoppia una terrificante pestilenza, tutta la Terra ne subisce pesanti conseguenze, e un gruppo di britannicissimi sopravvissuti cerca disperatamente di ritrovare la via della modernità.
Per i neofiti, un paio di curiosità: nella sigla iniziale viene riassunto l'inizio del tutto con una musica in parte elettronica di rara potenza evocativa; lo scienziato che fa cadere la provetta fatale è orientale (rifatevi all'epoca!).
Ho i cofanetti dvd da moltissimo tempo: le prime due stagioni me l'ero divorate qualche anno fa. La terza l'ho finita l'altro ieri. Il risultato finale è che forse ho fatto male a rivederli a distanza di quasi trent'anni, che forse dovevo lasciare alle incertezze della mia memoria il dovere di rivivere qualche momento sparso qua e là. 
Però - e nel frattempo - mi sono reso conto che avevamo tempi più lenti, non solo nella vita reale, ma anche in quella raccontata nei telefilm. Per carità, non sono un fan dello slow ad ogni costo - mi irrita solo il pensiero: però vedere queste serie, viverle senza preconcetti, dovrebbe quasi diventare una materia scolastica.

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