Voglio bene a Kurt Elling. Mi piace il suo modo di avvicinarsi alle note: ci gioca, le forza, le sfida, ma sempre rispettandole fino in fondo. Lo aspettavo al varco di questo omaggio a The Voice, e mi sono divertito molto; soprattutto perché Elling non ha scimmiottato l'inimitabile, ma ha reso inimitabile la propria voce. Un esercizio di stile arduo perché denso di legittima arroganza e di doverosa umiltà.
Le esecuzioni più riuscite: I Only Have Eyes For You, Fly Me to the Moon, Lover (Love Me Tonight), I'm Glad There Is You, April In Paris, The Lady Is A Tramp... ma, soprattutto, un I Remember Clifford in un sorpredente a cappella senza microfono, senza orchestra, col pubblico già uscente... da brividi, veramente da brividi.
Professionali ed eccellenti all'inverosimile i componenti la sua band, da Stu Mindeman (pianoforte e Hammond cristallini), John McLean (la chitarra giusta al momento giusto), Clark Sommers (contrabbasso sornione), Kendrick Scott (drumming terremotoso ma anche sofisticato).
Qualche appunto da fare, invece, all'orchestra, a volte in affanno, a tratti addirittura fuori tono, non ha vissuto con la dovuta serenità una serata che ha regalato grandi emozioni. Sembrava intimorita, se non troppo attenta a non deludere il mostro sacro che intanto gigioneggiava col pubblico.
Da segnalare la disinvoltura del sempre bravo Dan Kinzelman (collante quasi invisibile ma necessario) e l'ottima tromba di Mirco Rubegni (che dovrebbe avere molto più spazio, anche se il suo strumento è già affollato di mostri sacri).
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