Registrato nel 1996, questo A Multitude Of Angels è la testimonianza delle ultime improvvisazioni pianistiche lunghe di Keith Jarrett, perlomeno sul piano autobiografico. È per primo Jarrett, infatti, a precisare che considera questi quattro concerti italiani come l'ideale termine delle sue anabasi per piano e cervello.
E già: piano e cervello.
Il pregio di Keith Jarrett è sempre stato anche il suo difetto: suona per se stesso.
Non pretendo che ammicchi verso il pubblico - proprio lui, poi!, o che si esibisca in qualcosa di dissimulatamente commerciale; pretendo, però, che si renda conto che sperimentare e improvvisare siano due ambiti diversi, che possono - e devono - incontrarsi, ma che devono anche sapere quando uno dovrebbe cedere totalmente il posto all'altro, ponendo la parola fine ben prima di annientare l'ultimo degli ascoltatori più fedeli.
Insomma, ogni tanto, caro Jarrett potresti suonare almeno per la musica, magari senza avere il cuore cementificato da pulviscoli cerebrali? Del resto, se in inglese si usa dire giocare la musica, ci sarà pure un motivo.
La ipercelebrazione di questi quattro cd, insomma, risente molto dello sdoganamento in automatico che qualsiasi cosa faccia Jarrett sia buona.
Non siamo di fronte al free jazz più esasperante, come nemmeno ai Concerti di Colonia o Paris Concert o Vienna; ma neanche possiamo parlare di capolavori miliari o di opere di riferimento assolute.
Questa è una collezione per jarrettiani indomiti, molto indomiti, con pochi e radi momenti sublimi. Anzi, in alcuni momenti si ha l'impressione di essere di fronte a un Jarrett che voglia volutamente scimmiottare se stesso (Modena) o buttarla in caciara (Ferrara).
Una parte di me soffre a scrivere così duramente, perché già sa che alla fine amerò pure questa tetralogia, magari dopo il centesimo ascolto. Però tenetevi strette queste considerazioni, prima di spendere quasi 40 euro!
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