Onestamente mi sfugge perché debba avvisare che incontrerete spoiler: dopo 8 minuti e mezzo, infatti, il "grande segreto" viene rivelato da Sapper Morton, un ormone grosso così, ovviamente androide, fatto a pezzi da Ryan Gosling dopo una westernosa colluttazione.
Se non ve ne accorgete, vuol dire che siete distratti; ma di brutto, eh!
Il resto, è una trama che fa di tutto per discostarsi dal vero Blade Runner, riuscendoci perfettamente: pessima sceneggiatura, dialoghi patetici, musica di rara bruttezza, buone inquadrature (a sprazzi va detto) uccise però da una scelta di luci monocromatica e senza identità.
E neanche gli attori si salvano: Ryan Gosling sta lì inebetito ad aspettare l'ultima danza di La La Land; Harrison Ford è ritornato nella carbonite di Star Wars; Robin Wright fa di tutto per sembrare se stessa; Ana De Armas è impresentabile... Sylvia Hoeks rovina tutto ma proprio tutto quello che poteva essere rovinato; il suo personaggio - nodale e pompato all'inverosimile, è la nemesi di Scott, colei che uccide e annienta definitivamente questo film già così arido e inconcludente di suo. E Jared Leto? Quando aveva cinque anni, mio nipote sparava cazzate più profonde e verosimili.
I testi e le situazioni, insomma, puntano pervicacemente verso un obbligo filosofico che nel primo non c'era, ma che scaturì naturale proprio perché non voluto. Basta leggere i saggi in merito e rivedere i numerosi making of per capire quanto Ridley Scott avesse puntato sulla trama e sulla qualità, potenze narrative che inevitabilmente avrebbero portato al solo e unico Blade Runner che meriti di portare questo nome.
Intendiamoci: non è che mi sia seduto pronto a fare confronti; né tantomeno ho preteso forzatamente di vedere ripetuta la magia del primo; oltretutto, la mia passione e competenza per il cinema mi hanno insegnato a essere aperto a tutto.
Qui siamo di fronte a un film brutto! Chissenefrega se è collegato al Blade Runner originale. È un film fatto male. Punto.
Ora, cerchiamo di trovare una morale: al di là della bruttezza intrinseca del film, ha senso rincorrere e quindi insistere su successi fantascientifici del passato fortuiti ma leggendari?
Il franchising di Alien ci ha insegnato che è possibile usare un buon canovaccio e produrre ottimi seguiti (i prequel neanche li considero). Quello di Star Wars, invece, no: una volta visto il Quarto, tanto vale restare in casa. Star Trek, invece, ha alti e bassi: però, e alla fine, funziona e sa destreggiarsi bene tra novità e tradizione.
Ricapitolando: un personaggio (Alien) funziona quando ha con sé una forza narrativa intrinseca. Una storia (il Quarto di Star Wars), invece, funziona se inserita in un contesto che coniuga sapientemente tradizione e tecnologia. In mezzo troviamo l'ibrido Star Trek: funziona solo quando personaggi nitidi sanno convivere dentro la tradizione commista alla tecnologia.
E Blade Runner dove lo mettiamo?
Escludiamo il fatto che Scott l'abbia fatto per soldi (ha un conto in banca che risanerebbe l'Alitalia e la Rai in in sol colpo; e ne avrebbe in avanzo), cosa spinge un personaggio così intelligente a perdersi in queste inutilità?
Escludiamo pure che Villeneuve abbia agito in preda al timore reverenziale (anzi, troppo supponente è).
Dov'è l'errore?
Bella domanda.
L'errore forse sta nel fatto che noi siamo cambiati. Noi come pubblico. Non pretendo il ritorno del pubblico "militante", perché sarebbe una cazzata; né tantomeno mi sento dire che siamo di bocca facile (anche se in parte è vero).
Io sono convinto che l'intero "contesto cinema" sia così modificato da aver reso possibili e accettabili e benvenuti film orribili come questo Blade Runner 2049: tutto forma (peraltro noiosa), poca sostanza, trama incoerente ma speciosa, filosofia zen stracollaudata, inquadrature da iPhone comprato dai cinesi, dialoghi scritti col WhatsApp, religiosismi e fondamenti spirituali derivati da letture frettolose di guide religiose tradotte col translator.
Un disastro, altro che lacrime nella pioggia!
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