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Godere delle cose belle, senza dare loro chissà quale significato pedante, dove l’essenza della musica vive di cenni, quasi soffusi, con poche ma giuste note: un panorama ricco di suggestioni, mai pesanti, mai indolenti.
Il cd si apre con una Jealous Guy suonata di pomeriggio primaverile, alla luce di birre chiare fresche e leggere. Mazzariello pennella poche dolci note, mentre SuperEnzo e Paternesi lo coccolano quel giusto, in attesa di brindare alla sera che si avvicina.
Segue poi un “mediterraneo” A Hard Rain's A Gonna Fall, dove per fortuna svanisce il biasichio della (a volte, diciamolo) voce insopportabile di Bob Dylan, per dare giusto spazio a un Mazzariello che suona ottimamente senza sparare virtuosismi prevedibili.
Dopodiché, giriamo in notturna, con una Night and Day che sembra suonare le note mancanti del capolavoro di Porter. Confesso che è un’attitudine che trovo sempre rischiosa: smontare un classico e proporlo sotto altre vesti, appartiene a un jazzismo che potrebbe risultare addirittura stucchevole. Il trio di Pietropaoli, invece, evita le curve più pericolose e raggiunge momenti di ghiotta rarefazione.
Arriviamo a quei giri tipici di Pietropaoli, Scaleno Beat, dove io mi perdo un po’ troppo, forse anche a causa del batterismo pieno di piatti di Paternesi. È l’unico brano in cui smetto di passeggiare perché qualcuno al cellulare mi sta distraendo. Preferisco di gran lunga le altre due perle di SuperEnzo, The Princess (6) e Supereroa (7), decisamente intriganti e piene di idee (specie la prima).
Secondo me, il perno su cui l’intero cd posa le sue solide basi narrative è il quinto brano, una dolcissima cover di Father Son, altrimenti stucchevole componimento di Peter Gabriel. Pietropaoli e Mazzariello la smontano e ricompongono, aiutati da una batteria che a tratti ricorda un tamburino militare (una scelta coraggiosa che sa di futuro). Di se per stesso, è un brano pericoloso, che poteva diventare una buccia di banana: qui, invece, è un capolavoro. Se il pianoforte avesse un dio, qui Mazzariello diventa il suo sacerdote più credibile. Da ascoltare e riascoltare più volte.
L’ottavo brano è la Philadelphia di Neil Young: anche se non conoscete la trama del film, riuscite a sentire i passi convulsi di Tom Hanks alle prese con una malattia che allora non dava scampo. C’è anche molta speranza, molta ariosità; ma lo struggimento la fa da padrone. E sta bene.
E sta altrettanto bene affrontare senza remore le note rugginose dell’Eddie Vedder di The End. Qui il trio di Pietropaoli riesce a far sorridere una canzone che altrimenti ci butterebbe dentro a grotte buie e umide. Onestamente, non so come siano riusciti nell’impresa, ma almeno - e una volta tanto - i Pearl Jam non sono tristi.
Il cd si conclude con una God Only Knows inizialmente struggente, poi pensierosa e quindi solare. Brian Wilson ringrazia, e chi ha passeggiato con il trio di Pietropaoli, pure.
Da anni penso che SuperEnzo sia arrivato a un punto della sua carriera in cui potrebbe smettere di osare, di raccontarsi e di raccontare; e, invece, lui continua a camminare, sorridente e umile, pronto a lanciare sfide senza strafare, pronto anche a fermarsi per fare due chiacchiere, anche e solo per ascoltarti, per poi riprendere a (in)seguire neanche lui sa cosa.
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