C'è qualcosa di insostenibile in
questo film, ma non è certo il plot, farraginoso e atonale. E non è
la superba interpretazione di Joaquin Phoenix. Credo sia più quell'impalpabile
senso di spontanea censura contro questo modo di presentare la violenza; modo “inutile”
che cresce nello stato d'animo dello spettatore senza trovare requie e
soprattutto “giustificazioni”.
Insomma:
qual è uno dei messaggi che potrebbe arrivare? Non importa se tu sia
uno psicopatico violento e assassino: se impugni il disagio popolare per
legittimare le tue azioni, allora la violenza diventa poesia.
Attenzione,
non credo che il regista Todd Phillips abbia scientemente ipotizzato anche un simile sottotesto.
Però l'equivoco è nell'aria: come artista e intellettuale avrebbe dovuto
tenerne conto; mentre invece la sua regia è troppo aulica, suggestiva e
artificiale.
Non pretendo una condanna della
violenza tout court - perché
agli artisti non è dato l'obbligo di schierarsi per compiacere la critica; ma
non posso neanche accettare questa visione così artistica e compassionevole.
Prevengo
subito chi confuta questa mia asserzione confrontando Joker con Arancia
Meccanica. Ebbene, Kubrick non espone il fianco all'elegia e soprattutto
non lascia spazio all'equivoco. La violenza in Kubrick è orribile e
spregevole; è figlia di persone invidiose e livorose; è psicotica, ma senza alcuna assimilazione
con la denuncia sociale; la denuncia sociale di Kubrick c’è, ma si pone contro
la prevaricazione, da qualunque parte arrivi.
Aggiungo
anche un elemento basato sulla mera percezione: quello che vivi durante la
visione di Arancia
Meccanica, sta
accadendo ed è reale; invece, quello che vedi in questo Joker potrebbe
addirittura non essere del tutto reale (come hanno ipotizzato alcuni commenti
che ho letto online). Anche qui, la regia non si spertica più di
tanto nel lasciarci tracce esplicite che eventualmente consentano di distinguere reale e immaginazione. Solo in una circostanza comprendiamo esattamente
che Arthur si è inventato qualcosa (quando crede di aver frequentato Sophie, la
vicina di casa): ma visto che non abbiamo altre sottolineature simili, dovremmo
pensare che il resto della trama sia reale. Se, invece, le "irrealtà" sono sparse
e sta a noi comprenderle, la sceneggiatura e la fotografia non sono
tecnicamente coerenti.
Altro problema sono i tempi narrativi:
anche se vi è piaciuto senza riserve, dovete ammettere che il film parte subito
a mille, presentandoci la patologia di Arthur in tutta la sua desolante
essenza; ma dopo non va né in salita né in discesa. Anzi, mentre la follia si esprime
in gesti quasi prevedibili, la sceneggiatura prova ad accompagnarci verso la
loro origine andando a ritroso nella vita di Joker, sbattendoci in faccia
situazioni così confuse che per i primi trenta minuti fatichiamo a reggere la
noia, adagiandoci solo sulla recitazione di Phoenix.
Attenzione, poi, a un altro elemento:
Joker stesso ammette di essere distante dal disagio sociale di Gotham City,
tanto che per buona parte del film lo vive come un sottofondo televisivo e
nulla più. Sicuramente in lui non crescono né empatia né consapevolezza, né
tantomeno assistiamo a un parallelo narrativo tra il disagio della gente e il
suo disagio. Il disagio sociale entra nella sua realtà solo quando usa in maniera acritica la
sua maschera, rendendolo celebre ma ancora ignoto.
Questa soluzione narrativa è
pretestuosa e pericolosa, perché non tutti sono capaci di cogliere certe
sfumature, regalando a questo film il facile compito di fare da apripista a
forme di violenza romantiche perché “legittimate” dal disagio del momento. Per
quanto la Storia ci insegni che esistono anche forme di violenza “giuste”
(purché estemporanee e limitate nel tempo e nella forza), non possiamo giocare
al distinguo perché stiamo di fronte solo
a un film - e chissenefrega se la gente lo capisce come càpita.
Del
resto, la rilettura dei topos noti
anche al pubblico meno avvezzo ai supereroi, arriva a giocare persino sulle
origini di Batman, rileggendo con una malevola punta di condanna etica la
famosa scena della morte dei genitori: Wayne padre viene ucciso perché
appartiene alla politica fanfarona e lontana dalle vere esigenze della gente.
Certo,
l'intera narrazione potrebbe essere la storia di un Joker, visto
che non contiene l'articolo determinativo "the", quindi non per forza
il villain temuto da Batman. Però è un'ipotesi che ci riporta
sempre allo stesso punto: la violenza scellerata non può essere raccontata con questa acritica elegia!
C’è
anche un altro dettaglio che mi porta a pensare che il regista non abbia le
idee chiare: i tre finali consecutivi.
1) carrello indietro sul multischermo
in sala di regia che racconta l'omicidio appena accaduto in diretta
2) Joker si alza sulla macchina della
Polizia, compiacendo la folla violenta
3) Joker ha presumibilmente ucciso la
psichiatra e poi si dilegua in controluce
Fermandosi solo al primo, avremmo ottenuto
un film dolente; con il secondo, un film pericoloso; con il terzo, un film
visionario. E, invece, Phillips li cuce tutti e tre di seguito: buonanotte al
senso dell'operazione.
A
scavare nei dettagli, ho trovato perlomeno curiosa la scelta del brano musicale
più importante: quel Rock
And Roll part 2 di Gary Glitter che accompagna la "danza
sulle scale". Notoriamente viene usato negli stadi statunitensi per
intrattenere e coinvolgere il pubblico prima delle partite. È un brano scelto
tra i papabili, oppure ammicca a una convenzione nazionalpopolare così
collaudata?
A
proposito di musica, Hildur Guðnadóttir sembra essersi fermata a Chernobyl,
la serie-tv di cui ha scritto musiche legittimamente dolorose. Qui, però, ha
costruito una partitura inopportuna: prendetemi per matto, ma sono convinto che
buona parte delle scene avrebbe funzionato senza commento musicale. Purtroppo
si tende sempre più a enfatizzare con l'eccesso sonoro quanto invece potrebbe
funzionare anche senza musica. Valga come esempio Il Nastro
Bianco di Michael Haneke, totalmente senza musica, la cui trama è
forte da sola, con i suoi dolori e orrori nascosti e celati ma nel contempo presenti e disarmanti.
E
per restare nella "danza sulle scale", mi sfugge perché il regista
abbia usato almeno quattro punti macchina, favorendo un montaggio che toglie
moltissimo alla sublime performance di Phoenix; non dico di usare un
piano-sequenza, ma nemmeno di perdersi in inutili tagli che spezzano la
veemente bellezza di quelle movenze così disperate.
Ho trovato la fotografia eccellente:
in alcuni momenti sembrava di assistere ai quadri di Edward Hopper. E però
l'uso del controluce alternato a quello di colori netti e
"fumettistici" non è coerente con la scelta di seminare il sospetto
che alcune sequenze siano oniriche mentre altre siano reali.
Finiamo
in bellezza con Joaquin Phoenix. Poteva rimetterci tutto, accettando un
personaggio estremo sin dal vestiario. E, invece, nonostante tutto, è riuscito
a lavorare per sottrazione. Suggerisco di vedere/rivedere il suo stato d'animo dopo
aver ri-sparato al terzo broker. Oppure la fisicità con cui
accudisce la madre in ospedale; fisicità che riappare quando poi la uccide (se la
uccide). Oppure quando cresce la sua rabbia contro Robert De Niro: ammiratela
attentamente, visto che l'inquadratura di quinta ci fa vedere solo il lato
sinistro di Joker.
Io
spero che questo film vinca l'Oscar solo per l'interpretazione maschile; il
film, no, troppo pericoloso e sbagliato.
Nessun commento:
Posta un commento