Nella lussuosa Sud Corea, una famiglia di quattro
poveracci vive in estrema indigenza dentro un pulcioso seminterrato; in
tempi e modi diversi, riescono a farsi assumere da un supericcone, senza
fargli capire che sono parenti. Però la supervillona dove lavoreranno
nasconde un segreto che stravolgerà la vita di tutti i protagonisti... ma non
quella dello spettatore, purtroppo.
Nell'arco dei primi venti minuti,
infatti, la disposizione della trama perde tutte le sue potenziali
opportunità: non è una commedia, non è un drammone post neorealista, non è
un film di denuncia, non è un film allegorico, né tantomeno è un ibrido di
questi quattro generi. Il film, insomma, va avanti a vele sciolte, in
balìa di momenti casuali o di canovacci di fortuna. Il vero colpo di scena
sarebbe all'ultimissimo minuto, ma non salva dalla stiracchiata sufficienza un
film che addirittura parteciperà alla finale dell'Oscar come
miglior film straniero.
I personaggi, poi, fanno enorme fatica
a generare empatia; non parlo di recitazione (decisamente latitante), ma
proprio delle figure che dovrebbero rappresentare, e che non si riescono a
percepire in alcun modo. Salverei giusto qualche momento del padre, ma
soprattutto la meravigliosa e purtroppo breve sequenza (l'unica da
incorniciare) in cui la sorella, durante l'alluvione che inonda il
seminterrato, per fermare il liquame che esce dalle fogne, si siede sulla
tavolozza del water come se non stesse accadendo nulla, navigando con lo smartphone e
fumando una sigaretta lercia e mefitica.
E che dire del segreto della cantina?
Sarebbe stato un perfetto macguffin (avete presente la
valigia di Pulp Fiction?); di quelli che al momento giusto
avrebbero lasciato l'amaro in bocca, un po' come l'amara conclusione di Train
de vie. E, invece, sfocia nel grottesco, per cadere pesantemente nel
sommesso grand guignol conclusivo.
L'epilogo post dramma offre spunti molto
interessanti, anche se forse avrebbe funzionato più dalle vesti della sorella
piuttosto che da quelle insipide del fratello.
E proprio quando il rischio del doppio
finale è in agguato, il regista riesce a chiudere con un minuscolo colpo di
scena azzeccato e amarissimo (finalmente!).
Bong Joon-ho non è nuovo a film
allegorici: The Host e Snowpiercer
avevano
struttura e solido passo narrativo; potevano non piacere (e, infatti, a me non
sono piaciuti), ma reggevano al trascorrere degli eventi.
Qui, invece, siamo di fronte a un film
irrisolto, forse penalizzato anche da un doppiaggio senza sfumature e a volte
inutilmente gridato. O forse il regista stesso ha sentito di
più le basi della trama, considerato che si nutre anche di realtà, sicuramente
più dei due sopra citati.
Potremmo aprire un noioso (e quindi
breve) dibattito, indicando due problemi a monte di film come questo.
Il primo è l'annosa ammorberia della
critica militante, che ancora oggi si ostina a decidere cosa deve piacere e
cosa no. Parasite ne esce sopravvalutato e irritante. Anzi:
più irritante di quanto non lo sia in realtà.
Il secondo problema riguarda chi, come il sottoscritto, studia cinema da sempre (per inciso, sono della classe '66). Ne ho visto tanto, studiato tantissimo, letto ancor di più. Evidentemente, anche il cinema è fatto di cicli: se io ho un vago sentore di "già visto" o di debolezza narrativa, devo anche sacrificare la mia esperienza supponente, ricordandomi che un ventenne di oggi può non aver visto le migliaia di titoli che hanno condizionato la mia critica, "accontentandosi" quindi di un film come Parasite, oggettivamente debole e vacuo, ma contestualmente difensore di un certo cinema di qualità che ormai ha poco ossigeno a disposizione.
Il secondo problema riguarda chi, come il sottoscritto, studia cinema da sempre (per inciso, sono della classe '66). Ne ho visto tanto, studiato tantissimo, letto ancor di più. Evidentemente, anche il cinema è fatto di cicli: se io ho un vago sentore di "già visto" o di debolezza narrativa, devo anche sacrificare la mia esperienza supponente, ricordandomi che un ventenne di oggi può non aver visto le migliaia di titoli che hanno condizionato la mia critica, "accontentandosi" quindi di un film come Parasite, oggettivamente debole e vacuo, ma contestualmente difensore di un certo cinema di qualità che ormai ha poco ossigeno a disposizione.
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