12 dicembre 2019

perdersi dentro THE IRISHMAN

C'è qualcosa di indefinibile dentro questo strano capolavoro; e non è certo perché dura tanto, forse troppo. 
Credo perché Scorsese ha solo "sfiorato" tutti i tasti del suo talento, dimenticandosi però l'empatia, una delle sue doti più nascoste ma percepibili di tutto il suo cinema. E già, il nostro è un regista tecnico: sa usare benissimo la "penna" della cinepresa e l'editing del montaggio.
Ed esattamente come Bach riusciva a trovare l'estasi nonostante un'aritmetica sequenza di note musicali, anche la nevrotica squadratura tecnica di Scorsese ha quel raro dono di saper restituire sentimenti e passioni. 
Attenzione, stiamo parlando di saper fare arte con la sola tecnica attraverso un'arte come il cinema che ha della sola tecnica metà della sua essenza... insomma, il curriculum di Scorsese è stato un procedere difficile e probante, che solo i grandi come lui sanno gestire e maneggiare. 
Allora, e però, c'è da chiedersi perché in questo film monumento abbia perso così tanto tempo dietro una tecnologia "inutile" come il ringiovanire tre vecchietti, aggiungendo persino degli inutili occhi azzurri: ho passato più tempo a cercare di non guardare questi effetti digitali che a seguire la trama. Perché non ha imitato il casting dell'America di Leone? Se non fosse Scorsese, penserei che un'operazione del genere sia servita per mascherare una trama vista e rivista.
Oltretutto, se come spettatore mi soffermo troppo sulla forma e poco sulla sostanza, vuol dire che c'è qualcosa che non va nel tuo linguaggio. Mettiamoci, certo, che ho una certa passione ed esperienza di cinema - e che quindi potrei avere un occhio troppo distaccato; ma significa ben poco.
Aggiungiamoci che siamo di fronte a una trama forse fasulla, che si muove su tre piani cronologici diversi, con un'idea di metacinema nella metanarrazione che fa venire il mal di testa anche alla tastiera su cui sto scrivendo. 
Insomma: è tutto godibile, a tratti divertente, ma è tutto accennato, senza un vero e proprio centro narrativo, con un punto di vista che latita costantemente. 
Robert De Niro è poco convinto del suo personaggio, già di sé per stesso poco competitivo e ambizioso. 
Al Pacino si siede troppo sui suoi stereotipi, anche se gigioneggia meno del solito (meglio così).
Joe Pesci, invece, è monumentale, da Oscar, una vera sorpresa: misurato, preciso, con un understatement raffinato e pieno di sfumature.
Musica eccellente.
Montaggio interessante.
Fotografia essenziale ma poco attenta ai cambi cronologici.
Da vedere ma con riserva.

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