Per essere una finzione, quella di Fernando Meirelles è appena stata superata dalla realtà: il dibattito sul celibato tra i due papi veri (per interposta persona, peraltro) ricorda molto il primissimo incontro tra Anthony Hopkins e Jonathan Pryce, che nel film è più che altro una demarcazione di territori.
Certo è che I DUE PAPI è un film pregevole, in alcuni momenti di rara genialità.
Però l'entusiasmo si quieta decisamente per almeno due motivi.
Il primo è tecnico: le riprese, chiaramente girate con la camera a spalla! Inutili, fastidiose, artisticamente fuori luogo, buttate là senza stile alcuno: servono solo a distrarre lo spettatore e non sono mai al servizio né della trama né della recitazione.
A latere, non è che la fotografia sia tutta questa gran cosa; ma qui siamo dentro l'alveo del puro gusto personale.
Gusto personale che rimetto di nuovo nella tasca per segnalare l'altro elemento che proprio ho trovato costruito male: i difficili trascorsi di Bergoglio con la putridosa dittatura argentina.
I tempi narrativi, ma anche la sceneggiatura, rendono i flash-back qualcosa di forzato, di obbligatorio, di inserito a caso e senza criterio narrativo.
Il film, insomma, ha un ritmo ben preciso, una sua flemma intrigante, che non può essere interrotta in questo modo: le variazioni su un tema e gli scarti narrativi meritavano una maggiore cura artistica che qui è mancata totalmente.
Tant'è che la seconda parte del film si regge solo sulla bravura dei due attori: lo spettatore, infatti, passa dal gustare l'insieme attori/trama al rifugiarsi dentro la sola recitazione; il che non è un buon viatico per un film così pastoso.
Nella gara a chi è più bravo, vince Anthony Hopkins (inspiegabilmente candidato "solo" come non protagonista), per una ragione che ha a che vedere anche con il vero Ratzinger: la sottrazione, il sottinteso, il sottotesto, lo sguardo che dice tutto.
Da bravo latino, Beroglio è più spettacolare, più mimico, e Price è costretto a rincorrerne certi tratti, perdendo di efficacia recitativa; il papa emerito, invece, è tedesco in ogni suo possibile poro.
Ne consiglio comunque la visione.
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