Non amo (più) i post personali, a meno che non portino con loro qualcosa di necessario.
Più si invecchia e più si cresce, più si cresce e più si sente che l'invecchiare non è mai abbastanza: c'è bisogno di più tempo e di più ripartenze per rimettere tutto a posto.
Qualsiasi cosa facciamo da giovani, qualsiasi cosa diciamo quando siamo ancora con il fuoco della vita dentro, tornerà sempre indietro. E con gli interessi. Non importa se siano positivi o negativi: fanno male comunque.
È dal 1993 che lavoro in Rai, e ne ho incontrati di colleghi. Tanti.
Veramente tanti.
Al di là dei torti o dei meriti subìti dall'azienda, questa struttura è così enorme e popolata da non consentirci di percepire il Tempo: viviamo come in una sorta di eterno presente, mentre invece sotto di noi passa l'acqua degli anni, senza dissetarci e senza avvisarci.
Ecco, con questo post vorrei salutare cinque persone che non ci sono più. Morte prematuramente, con cadenze quasi precise, comunque ciniche, generando in me un'incomprensibile inquietudine difficile da chiarirmi e da raccontare; però mi hanno consentito di fermarmi, anche e solo per un attimo.
Conobbi Massimo Billi in quel di Esercizi di Memoria, una sofisticata trasmissione notturna di Radio3 che proponeva una serie di arbitrarie antologie guidate negli archivi di Radio Rai; e che archivi!
Nastri, "padelloni", vinili, supporti di ogni tipo, insomma, che venivano da noi ricercati in base a temi o argomenti personalissimi, quindi selezionati, quindi accuratamente digitalizzati, infine incastonati in una supermacchina-mangia-cd per una notturna radiofonica di quasi cinque ore.
Massimo era quel tipo di persone argute e acute che si lasciano scivolare tutto di dosso. Apparentemente distratto, aveva sempre la battuta pronta e sciorinava opinioni nitide e ben argomentate.
Stare con lui in ufficio era sempre molto divertente ed educativo. Ci si sentiva per telefono ogni volta che la sua Roma e la mia Juve si incrociavano.
Morì nel 2004, proprio pochi giorni prima di un canonico Roma-Juve, senza alcun indizio che lasciasse trapelare l'idea di un cuore così sfilacciato. Giovane. Insolente. Simpaticissimo. Mi manca ancora tanto.
Dall'esperienza di Esercizi di Memoria conservo anche la splendida esperienza con Arrigo Quattrocchi, di cui parlai anche qui.
Costretto da una cinica patologia a vivere pressoché immobilizzato dentro una sedia a rotelle, sapeva raccontare la musica colta in maniera dotta e nel contempo divulgativa, senza tradire la necessaria proprietà di linguaggio, ma senza neanche risultare difficile od oscuro.
Da quando lo conobbi, ho un'iniziale quanto rapida difficoltà ad ascoltare Bach: io lo adoro, lui gli preferiva Händel. Stargli accanto, anche al di fuori della registrazione dei suoi interventi, era un continuo insegnamento di vita, anche se lui rifiutava di attribuirsi tale merito.
Da quando è morto nel 2009, ormai sbriciolato dalla malattia, non ho avuto più la voglia di sfogliare il mio archivio di Musica e Dossier, antico quanto sontuoso mensile della Giunti che lo aveva avuto tra le firme di punta.
Durante i miei due anni con Piero Angela, invece, conobbi anche Virginia Splendore, di cui raccontai qualcosa qui. Nel tempo libero, suonava uno strumento musicale moderno e articolato, il cui nome nella sua Sicilia poteva assumere ben altro significato: lo stick, un non-basso da suonare soprattutto con doppio tapping, di cui Tony Levin è l'esecutore più noto.
Virginia era insieme tormento ed estasi: sembrava oscura e tormentata da atroci languori, ma quando sorrideva era un incanto; soprattutto sapeva essere amica ficcante, forse dolorosa, senza però fare male. Si è suicidata nel 2011: ogni giorno mi chiedo cosa avremmo potuto fare per non farla arrivare a quel punto.
Tra i miei primissimi ricordi in Rai, ecco Alessandra D'Asaro: conosce(va)te sicuramente la sua voce sempre misurata ed appropriata, ma anche gli appassionati sanremesi con i capelli bianchi l'hanno vista sul palco dell'edizione del 1995, insieme al Curzi del Tg3 e a molti altri coristi improvvisati del duo Guzzanti/Riondino. Appassionata di Gurdjieff e di Marocco e di mille altri argomenti, combatteva con una serie di patologie autoimmuni che le strapparono la vita alla fine del 2013.
Con lei fui uno stupido dogmatico: non sapendo accettare le nostre differenze di idee, ho smesso lentamente di frequentarla fino quasi ad ignorarla, finché non la incontrai fortuitamente a Campo de' Fiori, giusto tredici anni fa.
Ogni volta che penso ai nostri due anni in Radio, mi scappa un sorriso e un incontrollabile senso di colpa.
Antonella Rucci era una colonna portante di Blob, una trasmissione cult di Rai3 in cui militò per molto tempo anche mia sorella.
Era tra le poche persone che ti faceva sentire subito a tuo agio.
In lei c’era quella rara attitudine di non chiedere, di non pretendere, di non giudicare. Di lei ricordo una costante delicatezza, una genuina propensione all’ascolto, una vivacità intellettuale senza remore o confini, una voglia di andare oltre l’ovvio.
Ci perdemmo di vista per quei non-motivi che neanche sai quali siano. Però ricordo quando anni dopo ci incrociammo rapidamente durante una manifestazione aziendale in difesa della Rai.
Ci salutammo come due amici che si erano appena congedati due minuti prima. È "partita improvvisamente senza avvisarci" agli inizi del 2020.
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