Quando curai l'area editoriale di RaiClick, ebbi la fortuna di (ri)vedere alcune sue perle televisive: I fratelli Karamazov (1969) e I racconti fantastici di Edgar Allan Poe (1979), la cui sigla iniziale fu scritta dai...
Nel lontano 1987, nell'Amadeus di Schaffer regalò una lettura di Salieri di gran lunga superiore a quella cinematografica di Murray Abraham. Ricordo nitidamente l'inizio del Primo Atto a sipario ancora chiuso: la sua figura in penombra, una voce spettrale che ci accompagnava lentamente dentro l'opera. Ma poi accadde qualcosa all'amplificazione. Il pubblico non se n'era accorto, ma Salieri tornò ad essere Orsini: con voce stentorea e sicura chiese scusa per l'intoppo e ripeté l'intera sequenza senza indugi o irritazione.
E i suoi film con Visconti? Che raggio di sole!
Insomma, dovevo comprare la sua autobiografia uscita nell'Aprile del 2019! E devo dire che ne è valsa la pena.
Ogni peso biografico è ben bilanciato: la vita privata, quella teatrale, le idee, gli amici, i colleghi, le passioni, la visione della vita, una certa eleganza nello sfiorare le storie d'amore. Un libro che si beve in un lampo e che rafforza il bel ricordo che mi aveva già dato sul palco.
A fare i nostalgici quasi petulanti, si prova anche tanto rimpianto: la nostra generazione (e quelle precedenti) i teatri li riempiva, i film li guardava (in silenzio), ed eravamo tutti coinvolti, non importava l'estrazione sociale o economica.
Per carità, non è un libro nostalgico e affettato, anzi. Orsini ha scritto una testimonianza sincera e senza fronzoli, senza rimpianti: con la passione per il passato, con una voglia di affrontare ancora il futuro.
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