15 marzo 2020

Coronavirus, da un disastro, la Bellezza

Secondo voi, si può passare da un vulcano e arrivare a Kirk Douglas? 
E, soprattutto: perché?!
Aprile 1815, Indonesia. Il vulcano Tambora esplode, letteralmente, raggiungendo il livello 7 dell’indice di esplosività vulcanica; Pompei fu del 2, così vi fate un’idea. La sua attività dura fino all’agosto dello stesso anno, generando tsunami più o meno rilevanti - nonché una quantità incommensurabile di materiale vulcanico che raggiunge l’atmosfera e lentamente avvolge l’intero globo. Le vittime sono 12.000, ma non possiamo certo calcolare quelle successive al disastro ambientale che ne consegue, come inondazioni e siccità. L’anno successivo, infatti, è il celebre “anno senza estate”. 
In pochi mesi, progressivamente anche il cielo di tutta Europa diventa così terso da ispirare al pittore William Turner quei suoi magnifici tramonti.
Ma non è il solo artista a restare affascinato da quella situazione.
Infatti, nel 1816, nella Villa Diodati in Svizzera , si ritrovano tre letterati e un loro attendente: influenzati da quel clima così evocativo e appassionati da dozzinali racconti gotici tedeschi, vogliono scriverne di nuovi, scambiandosi idee ma anche sfidandosi a chi scriverà l’opera migliore.
Ne parla - molto a modo suo! - Ken Russell nel poco riuscito film Gothic (1986), di cui si salva giusto la colonna sonora di Thomas Dolby, già produttore dei Prefab Sprout e pioniere di un’elettronica senza frontiere e pregiudizi.
Il più noto tra questi è George Byron, immenso poeta, padre di Ada (già, proprio quella cui è dedicato l’omonimo algoritmo). Byron scrive Darkness, uno dei poemi più belli della Storia, non solo inglese. 
Se non siete influenzabili da temi così imponenti, vale la pena leggerlo; altrimenti, aspettate la fine di questa crisi. L’edizione italiana con la migliore traduzione è quella Einaudi, purtroppo fuori catalogo.
Il suo attendente, Jon Polidori, scrive un brevissimo libello dal titolo Il vampiro. Secondo l’elegante saggio dell’antropologo culturale Vito Teti, sarebbe stato lo stesso Byron ad avergli buttato giù una bozza dozzinale. Comunque sia, l’inquietante figura è chiaramente ispirata al sommo poeta… in maniera chiaramente sprezzante, visto che Polidori non amava certo il suo padrone.
Poi abbiamo Percy Shelley: scrive Il Prometeo liberato, forse l’unica datata tra le idee di quel simposio; per quanto bella, ha uno stile sin troppo ottocentesco. Shelley è seppellito nel Cimitero Acattolico di Testaccio, accanto a Keats (quello dell’Urna greca, per intenderci), Gramsci (cui Pasolini ha dedicato un bellissimo poema) e… Camilleri.
La vera sorpresa ce la regala sua moglie, Mary Wollstonecraft. Femminista ante litteram, bella, intelligente e colta, scrive Frankenstein. A seguire quel matto di Russell, la trama sarebbe condizionata da un presunto aborto spontaneo; fatto sta che quel capolavoro dovrebbe girare anche per i nostri licei, se solo in Italia crescessimo un pochino e la smettessimo di circoscrivere tutto in generi sprezzanti.
Fin qui, tutto bene, ma manca Kirk Douglas, peraltro morto recentemente a soli 100 anni.
Lo sappiamo, è stato protagonista di eccellenti pellicole, non ultima lo Spartacus di Kubrick, le cui difficoltà produttive vengono raccontate con rara ironia proprio da Douglas in questo simpatico testo.
Ma c’è un’opera meno nota che lo vede tra i protagonisti: Lettera a tre mogli (1949) di Joseph L. Mankiewicz (sofisticato regista di capolavori come Eva contro Eva, Cleopatra, Un americano tranquillo, per dire). Diciamo placidamente che la trama è stata alquanto abusata, non ultimo dalla serie Desperate Housewives (anche se qui la lettera è in realtà una voce fuori campo di una quarta amica ormai morta).
La trama è semplice, liquida e lineare: una donna invia una lettera, appunto, a tre mogli, scrivendo che ha avuto una relazione con uno dei mariti. La sua voce fuori campo è una sfida alle regole cinematografiche, visto che notoriamente è sinonimo di debolezza strutturale (Viale del tramonto è l’eccezione che conferma la regola): eppure è una formula vincente e accattivante, tanto da vincere l’Oscar per la regia e la sceneggiatura non originale.
Kirk Douglas interpreta un professore squattrinato, fiero della sua passione per la cultura, ma chiaramente messo da parte perché “intellettuale”. Ad un certo punto, verso la fine del film, quando scorge una delle protagoniste scendere lentamente le scale, così elegante e sensuale, declama: “She walks in beauty, like the night / of cloudless climes and starry skies…”, Ella cammina radiosa come la notte, di climi tersi e di cieli stellati… è una poesia di Byron, proprio lui. 
Ce l’abbiamo fatta: dal Tambora siamo arrivati a Kirk Douglas!
Dimenticavo. Per i malati di Star Trek: tale poesia viene declamata anche da Spock nel terzo episodio della terza stagione della cosiddetta Serie Originale.
Insomma, da un disastro come quello del vulcano Tambora, l’Umanità ha saputo reagire con la Bellezza. Basta volerlo.

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