17 marzo 2020

Coronavirus, la sindrome da ospedale

Durante un safari in Kenya, chiusi come eravamo in un mitico Volkswagen VW T2 in giro per la savana, mia moglie mi guardò sorridente e disse: "questa volta in gabbia ci siamo noi".
Ecco, in questi giorni abbiamo tutti l'idea di essere in gabbia, mentre il Covid-19 sghignazza in giro per le nostre città. 
Ognuno ha il suo carattere e decide come reagire. Ma c'è un rischio che corriamo tutti, nessuno escluso: la sindrome da ospedale.
È una definizione che ho rubato alla Professoressa Paola Rottoli, eccellente Primario dell'Ospedale Le Scotte di Siena, modificandola leggermente. Sosteneva, a ragione, che dopo un certo periodo di tempo i dati clinici di un ricoverato sono falsati perché subentra una sorta di depressione mista a sindrome di Stoccolma. È come se il malato avesse bisogno di quello che sta subendo: un circolo vizioso che costringe il medico a rivedere anamnesi e esami in sospeso.
È un confine vago, quasi impercettibile, per cui - per quanto il malato abbia carattere - ogni cosa viene filtrata dal suo essere ricoverato.
Ecco, sappiamo perfettamente che prima o poi ci sarà un dopo, e non alludo solo al dopo "istituzionale", quello che dovranno affrontare i nostri governanti per la "ricostruzione": alludo al dopo che starà dentro ognuno di noi e che nessuno di noi non può né preventivare né pensare di esserne immune.
Perché alla fine ci abituiamo a tutto. E avremo qualche difficoltà a uscire. Già: ci saremo così adattati a questa emergenza, peraltro dettata dalla paura di morire, che quasi sentiremo la libertà come fosse una minaccia. La normalità ci spaventerà. 
Per carità, faremo feste e concerti e risate e brindisi... e magari questa complicata esperienza ci migliorerà. Ma dentro ognuno di noi resterà questa sindrome da recluso (con tutto il rispetto per chi recluso lo è veramente). E dovremo farci i conti. 
È inutile che scuotete la testa, pensando che non vi riguardi: la mazzata si presenterà e presenterà il conto.
Quando in Brubaker Robert Redford libera i detenuti dall'isolamento, per prima cosa consegna loro degli occhiali da sole, per evitare che restino accecati dopo tanto fetido buio. 
Ecco, dobbiamo portare dentro di noi questi occhiali. Onestamente non so dove trovarli e come funzionino, ma almeno cerchiamo di essere pronti.

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