31 marzo 2020

Coronavirus, Perseo

Ieri stavamo tornando dal garage... quando non mi piace la situazione che respiro, mi metto due passi dietro mia moglie, così ad Amadeus prende un coccolone; ma, soprattutto, potrei ingenuamente gestire eventuali malintenzionati, aggressioni armate, auto che cadono dai cieli, zombie affamati... si sa, sono cose che potrebbero capitare.
Fatto sta che da lontano scorgiamo una figura snella, alta almeno un metro e ottanta, il cappuccio della felpa gli copre metà volto; l'altra metà è coperta da una mascherina, nera come quella che usano i writer.
Porto istintivamente il bastone sulla mano destra e mia moglie rallenta il passo. La figura ha capito - o credo che abbia capito, abbassa il cappuccio e alza il braccio in segno di affettuoso saluto: è Perseo.
Con una scucchia senza confini, un sorriso dolcissimo tipicamente etrusco, è romano fino alla coscienza, generoso e genuino, lo incontro ogni sera... incontravo ogni sera, tornando dal garage, dal lavoro insomma, dentro la sua fiat blu-anni-70 parcheggiata a ca@@o, e il suo perenne nastro musicale gracchiante Renato Zero. Già, tra i pochi musicisti italici che abbia mai amato, i cui arrangiamenti degli anni '70 andrebbero studiati nelle scuole musicali.
Perseo si avvicina, non sa i nostri nomi, ma sono 20 anni che ci saluta sempre con trasporto e amicizia, quasi fossimo parte della sua vita. Scherzo a casaccio sul fatto che ero pronto a combatterlo visto che da lontano sembrava chissà cosa. Ci ride sopra. Ci congediamo.
Perseo suona la chitarra con anima e eleganza. Suona Hendrix o Prince o i Beatles o Vasco Rossi, con eguale trasporto e personalità.
È un musicista di strada, un ambulante.
O meglio, lo era prima che arrivasse Covid-19.

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